Ritratti
Samac
SAMAC macchine agricole, potenza artigiana al servizio dell’agricoltura
Capranica è un piccolo centro a metà strada tra Roma e Viterbo. Uno dei tanti borghi che costeggiano la via Cassia, tra noccioleti e zone industriali. Un territorio di piccole e medie imprese, distretti e filiere produttive che hanno fatto la fortuna di quest’angolo del viterbese. E’ qui, nella zona industriale di Vico Matrino, che tre imprenditori hanno deciso di lanciare sul mercato una macchina agricola che rappresentasse la sintesi perfetta tra ingegno, tecnica e qualità artigiana. “Le nostre macchine presentano una serie di innovazioni tecniche e progettuali rispetto a quelle tradizionali, dalla velocità di raccolta dei frutti alla capacità di manovra tra gli alberi, passando per l’abbattimento delle polveri di lavorazione”, ci spiega Marco Crocicchia, che nel 2011 ha fondato la SAMAC macchine agricole insieme a Stefano Sarnacchioli e Celestino Meloni. “Produciamo macchine per la raccolta di frutti in guscio, come le nocciole, le noci e le mandorle, il caffè o le castagne, seguendo l’intera fase di produzione, dalla progettazione del prototipo alla saldatura delle diverse parti. Acquistiamo soltanto le parti meccaniche e i motori, scegliendo componenti all’avanguardia come i motori CommonRail ETR-4 di ultima generazione, tutto il resto viene progettato e realizzato qui a Capranica”, aggiunge Sarnacchioli.
La SAMAC produce due macchine per la raccolta di frutta, da 70 e 100 cv, oltre ad una gamma di rimorchi per lo stoccaggio, alle trinciatrici e ai dischi interfilari. “Le nostre macchine sono uniche perché riescono a lavorare a una velocità tre volte superiore rispetto a quella delle altre macchine e su ogni condizione del campo, sulla terra come sull’erba, tanto sul bagnato quanto sull’asciutto - riprende Stefano Sarnacchioli - Capacità che permettono agli agricoltori di aumentare il volume del raccolto e di mantenere intatta la qualità dei frutti rimasti a terra”. Sono due, però, le grandi innovazioni che la SAMAC ha introdotto nel settore. La prima è la netta riduzione delle emissioni di polveri, un problema per chi lavora nei campi. “Grazie ad un sistema frontale di spazzole, le nostre macchine raccolgono i frutti senza produrre polveri sottili, rilasciando quelle di lavorazione direttamente a terra e non in aria come le tradizionali macchine agricole”, spiega Marco Crocicchia. La seconda è la capacità di rotazione delle macchine SAMAC. “Alla base del nostro progetto c’è una ruota posteriore, unica e sterzante, che permette angoli di manovra di 180° sulla stessa fila e di raccogliere i frutti anche in rotazione”, spiegano con un pizzico di orgoglio gli imprenditori della SAMAC. Un’impresa che tra certificazioni, omologazioni e permessi ministeriali si scontra con la lentezza burocratica italiana. “Il problema non è tanto il numero di adempimenti, anche se noi abbiamo gli stessi obblighi di un’industria - spiega Crocicchia - ma l’incapacità della pubblica amministrazione di capire i tempi del fare impresa, fatto di programmazione e risposte rapide”.
SAMAC Macchine agricole
Capranica (Vt)
www.samacmacchineagricole.it
Confartigianato Viterbo
www.confartigianato.vt.it
ModaImpresa
ModaImpresa, quando l’artigianato batte l’industria e la finanza speculativa
C’era una volta l’Ittierre, un’eccellenza mondiale nel settore moda, una fabbrica capace di dare lavoro a mille dipendenti, che arrivavano a tremila con l’indotto. Siamo in Molise, una regione che fa 300mila abitanti. Conti alla mano, un molisano ogni cento lavorava con questa eccellenza italiana. “Fallita l’Ittierre, il Pil regionale è crollato del 2% in un giorno solo”, racconta Romolo D’Orazio, ex dirigente del colosso molisano, oggi Presidente e CEO della ModaImpresa di Miranda, alle porte di Isernia, una piccola impresa artigiana ad alto tasso di responsabilità sociale, che sta cercando di ricucire un tessuto imprenditoriale e sociale distrutto da questo drammatico fallimento. “La nostra storia inizia da qui, dalle ceneri di una delle più grandi realtà industriali del Centro e Sud Italia. Da quel momento, i dirigenti hanno iniziato una diaspora tra Lombardia, Veneto e Toscana, le roccaforti del tessile italiano, mentre agli operai non è rimasta che la mobilità. Nel frattempo, i laboratori artigiani del territorio che lavoravano con l’Ittierre hanno via via chiuso i battenti”. Un vero e proprio dramma per un territorio già difficile come quello molisano, che oggi vive una nuova stagione di speranza e di rinascita economica grazie al lavoro di questo manager 45enne e dei 20 dipendenti della ModaImpresa. “Il 90% dei nostri dipendenti è socio dell’impresa, veniamo tutti da anni di attività all’Ittierre. Abbiamo iniziato le attività negli ultimi giorni del 2015 e siamo già pronti per la terza ricapitalizzazione. Gli affari vanno bene, anche troppo per certi versi - ci dice con un sorriso che tradisce un sentimento misto di orgoglio e ironia - Ci stiamo dando da fare perché vogliamo continuare a crescere e a far tornare a lavorare i tanti laboratori artigiani chiusi con l’Ittierre, a cui oggi affidiamo gran parte della nostra produzione. Qui a Miranda facciamo prototipi e campionari e offriamo i nostri spazi in co-working ai giovani stilisti”, che nella splendida sede alle porte di Isernia possono trovare tutto il supporto logistico e imprenditoriale per dare vita e forma alla propria creatività. “Il settore della moda è un settore estremamente difficile da gestire dal punto di vista finanziario. Ogni anno, apriamo tre linee d’investimento per realizzare il campionario e la produzione attuale, mentre prepariamo la campionatura per la stagione successiva. Basta un errore e salta tutto, proprio come successo al colosso Ittierre. Per questo - continua a spiegare il CEO di questa piccola impresa iscritta al Registro nazionale delle startup - stiamo facendo un passo alla volta, ponderando ogni decisione e organizzando la catena produttiva e commerciale come fossero ingranaggi di un orologio. Oggi, abbiamo un nostro brand, Le Tonerre Studio, oltre a lavorazioni in conto terzi per diversi marchi italiani e internazionali. Il nostro obiettivo futuro, però, è quello di avere il 70% di nostri brand e il restante 30% in conto terzi”. Idee chiare, innovazione imprenditoriale e voglia di risollevare un tessuto sociale sfibrato dalla mancanza “di lavoro e di infrastrutture capaci di collegare il Molise al resto dell’Italia - riprende D’Orazio - Questo è il nostro principale problema. L’altro, invece, riguarda tutta la piccola impresa italiana: la scarsa fiducia del sistema creditizio nel finanziare e sostenere le idee imprenditoriali vincenti come la nostra. Con maggiore credito da parte delle banche, infatti, potremmo già fare nuove assunzioni e dar vita a nuovi progetti. Siamo una piccola impresa giovane, però, e dobbiamo stare attenti a non fare il passo più lungo della gamba”, aggiunge Romolo D’Orazio mentre ci mostra le varie unità di una piccola impresa artigiana che sta riuscendo dove la grande industria prima e la finanza speculativa poi hanno fallito.
ModaImpresa
Miranda (IS)
www.modaimpresa.com
Confartigianato Molise
www.confartigianatomolise.it
Marino Menegazzo
Tradizione e tecnica si fondono nell'arte veneziana del battiloro
Il battiloro è uno dei mestieri più antichi e tradizionali dell’artigianato italiano. Le mani di questi maestri trasformano l’oro in sottilissime lamine di materiale prezioso. Leggere come un velo di cellulosa, le foglie d’oro vengono utilizzate per le decorazioni, l’alimentazione e la cosmesi, sfruttando le innumerevoli qualità benefiche di questo prezioso metallo.
Un mestiere ricco di fascino e magia, che oggi viene praticato da un numero sempre più ristretto di maestri artigiani, sostituiti negli anni dalle macchine e dalla produzione industriale.
A Venezia, a pochi passi da Ponte Rialto, c’è la bottega dell’ultimo vero battiloro artigiano d’Italia e d’Europa, Marino Menegazzo della Mario Berta Battiloro, che continua una tradizione iniziata intorno all’anno 1000, che arriva in laguna da Bisanzio, prima di diffondersi a Firenze e in Germania.
“Nel ‘700, a Venezia lavoravano più di 300 artigiani battiloro, ognuno specializzato in una fase specifica della produzione. Un mestiere che veniva considerato un’arte minore e che, in quanto tale, riservava onori e privilegi a questi maestri artigiani, a cominciare dalla possibilità di sposare le nobili veneziane”, racconta Marino Menegazzo, con un accento morbido e rotondo come le acque che bagnano Venezia.
La storia di questa impresa inizia nel 1926, quando gli avi di sua moglie, Sabrina, decidono di ridare vita ad un mestiere ormai scomparso dalla laguna. La passione contagia Mario, il padre di Sabrina, che nel 1969 fonda la Mario Berta Battiloro, iniziando una storia che continua ancora oggi grazie al lavoro di Marino e di sua moglie, delle figlie Eleonora e Sara e di altri quattro collaboratori. In una bottega carica di storia e magia, per giunta, la casa veneziana di Tiziano Vecellio, il pittore che visse e che contribuì a fissare per l’eternità la grandezza della Serenissima di fine ‘400.
“Oggi lavoriamo secondo le tecniche tipiche della tradizione artigiana, le stesse che si tramandano da secoli - spiega Marino - Abbiamo ridotto le fasi e i tempi di battitura, ma il processo di lavorazione è pressoché invariato. Tutto inizia dalla fusione dell’oro, puro o con l’aggiunta di altri materiali. A quel punto si effettua una fase preliminare di laminazione, prima di iniziare la battitura vera e propria, con cui si riduce la forma d’oro in parti sempre più sottili, battendoli con martelli che vanno dai 3 agli 8 chili sopra un blocco di marmo. Il segreto della battitura non sta nella forza con cui si batte, ma nella coordinazione del movimento per far ribalzare il martello sulla forma d’oro - aggiunge - L’ultima fase di lavorazione è quella del taglio e del confezionamento delle foglie d’oro, che vengono raccolte in libretti di carta, pronte per essere utilizzate”. Dalla medicina alla cosmesi, dalla decorazione del vetro al restauro di affreschi e mosaici, ma anche, e soprattutto negli ultimi tempi, le foglie d’oro vengono utilizzate in cucina. Le nostre foglie hanno dorato la Madonnina del Duomo di Milano, l’Angelo sul campanile di San Marco qui a Venezia e la Corona e la Croce della Madonna del Santuario di Lourdes - continua Marino Menegazzo - Stiamo investendo nella cosmesi e nell’alimentare, dopo aver iniziato a lavorare anche con l’estero e sul web. Vogliamo continuare a sperimentare e ad aprire nuovi mercati, senza tradire l’esperienza e la qualità di una tecnica artigiana che da Venezia ha saputo conquistare il mondo”.
Mario Berta Battiloro
Venezia
www.berta-battiloro.com
Confartigianato Venezia
www.artigianivenezia.it
Claudia Scarzanella
Traiber, da un secolo e mezzo al servizio della qualità e del larice di Zoldo
Siamo nel cuore della Val di Zoldo, nel bellunese, lungo la strada che da Longarone porta fino alle Dolomiti e a Cortina d’Ampezzo. Stretta tra le gole delle prime cime montuose venete, lavora la Segheria Traiber, che dopo più di un secolo e mezzo di attività, sta creando una nuova economia diffusa sul territorio. Grazie alla tutela di un albero tipico di queste valli e alla continua ricerca della qualità, nella scelta delle materie prime come nelle tecniche di lavorazione.
Oggi, alla guida della Segheria Eredi Filippo Traiber di Forno di Zoldo (BL) c’è Claudia Scarzanella, un’imprenditrice simpatica, solare e dalle idee chiare. “Stiamo creando una filiera corta con le realtà del territorio che coinvolga l’intero ciclo produttivo - ci spiega - lavoriamo quasi esclusivamente il larice che cresce sulle nostre montagne, che scegliamo direttamente nei boschi e che ha qualità eccezionali per colorazione, resistenza e durevolezza. Ogni nostra lavorazione rappresenta un pezzo di questa valle, che cerchiamo di valorizzare con una filiera a chilometro zero, promuovendo percorsi turistici ed eventi per valorizzare la bellezza della natura e dei nostri borghi”.
Una piccola impresa artigiana che da cinque generazioni punta tutto sulla “qualità dei prodotti e delle lavorazioni. Controlliamo ogni singola tavola, il nostro obiettivo è offrire ai clienti un prodotto di qualità, capace di soddisfare le esigenze più distanti, dalle tavole per realizzare una panchina alla fornitura di tetti, pavimenti e rivestimenti in legno per l’edilizia”, aggiunge Claudia Scarzanella.
I prodotti della Traiber sono certificati CE e PEFC, che garantiscono la qualità del legname e la gestione sostenibile dei boschi di provenienza. “La nostra è una scelta etica e non esclusivamente economica. Queste certificazioni permettono di accedere a bandi e fondi particolari, alcuni li usano soltanto per questo, ma siamo convinti che una gestione più sostenibile dei boschi porti vitalità economica e sociale nelle valli di montagna, come qui a Zoldo. E’ per questi motivi che condividiamo i criteri della certificazione forestale PEFC - aggiunge - Negli ultimi tempi, però, l’Italia sembra essersi allontanata dalla propria terra. I boschi non sono curati e valorizzati, spesso non si conosco neanche più i confini degli appezzamenti - denuncia la Scarzanella - l’abbandono della terra porta alla scomparsa delle economie locali, con conseguenze negative anche da un punto di vista sociale. Per questo crediamo che l’Italia dovrebbe puntare maggiormente sulla valorizzazione dei territori, soprattutto di quelli che hanno esigenze particolari, come le valli di montagna”.
Il legame della segheria Traiber con il proprio territorio, la Val di Zoldo, ha radici lontanissime, rinnovandosi di generazione in generazione. Oggi, questo legame è il primo obiettivo imprenditoriale di Claudia Scarzanella, che da donna è chiamata a dividersi tra l’impresa e il ruolo di mamma. “Ci sono due cose che mi danno forza e coraggio per affrontare le tante difficoltà di fare impresa in Italia e in un territorio difficile come questo. La prima è di poter lasciare un giorno a mio figlio la possibilità di decidere o meno se continuare questa tradizione familiare. La seconda è mantenere viva un’antica tradizione di questo paese - conclude Claudia Scarzanella - secondo cui in ogni casa di questa valle ci sia un pezzo di larice di Zoldo lavorato dalla Traiber. E’ così dalla metà dell’800 e vorrei che fosse così ancora a lungo”.
Segheria Traiber
Forno di Zoldo (BL)
Confartigianato Belluno
www.confartigianatobelluno.eu
Luca Sotgiu
Innovazione e formazione scandiscono il tempo nel laboratorio di Luca Sotgiu
Passione, esperienza e innovazione a tutto campo. Sono questi gli ingranaggi che muovono il lavoro di Luca Sotgiu, l’orologiaio di Oristano che ha saputo conquistare la fiducia degli appassionati e dei più importanti produttori d’orologi, tanto da diventarne un punto di riferimento per tutta la Sardegna. “La manualità è la base di questo mestiere, ma è con la formazione professionale e l’innovazione tecnologica che riusciamo a migliorare continuamente la qualità delle nostre lavorazioni e dell’assistenza clienti”, ci spiega.
Con una gioielleria di famiglia e un nonno orologiaio, Luca Sotgiu è cresciuto tra ingranaggi e orologi di lusso. “Quando abbiamo pensato di aprire la nostra gioielleria a nuovi scenari, il laboratorio è stato il primo passo, quasi una scelta naturale”, con cui offrire un’assistenza di qualità ai clienti della gioielleria e per rispolverare una vecchia passione di famiglia. “Ho studiato qui in Sardegna e poi a Firenze, dove ho potuto imparare veramente tanto su questa arte”, ci racconta. “La formazione professionale è fondamentale, sia per le tecniche di lavorazione che per l’innovazione tecnologica degli strumenti. Viviamo un’evoluzione continua che noi artigiani non possiamo che sfruttare per migliorarci ogni giorno di più - aggiunge - Il rischio è scomparire dal mercato”.
Nel corso degli anni, Luca Sotgiu ha innovato i processi e gli strumenti di lavorazione, ha portato la tecnologia nei sistemi di gestione dell’impresa e dell’assistenza clienti. Il risultato è un laboratorio innovativo e moderno, che fonda le proprie radici nella tradizione di un mestiere ricco di fascino, ma che continua a puntare sulle tecnologie e la formazione. “Sono questi due elementi che fanno la differenza in un’impresa artigiana. Il terzo è la passione, che ti fa superare i problemi e le difficoltà. In Italia, poi, non mancano mai”, conclude con un sorriso.
Una volta di più, l’innovazione è alla base del successo di un’impresa italiana d’eccellenza, che investe, sperimenta e guarda al futuro con passione e ottimismo.
Luca Sotgiu
Oristano
www.orologeriasotgiu.it
Confartigianato Oristano
www.artigianservice.it
Luca e Gennaro Lembo
APA, da Eboli alla conquista del mondo
Gennaro Lembo dell’azienda APA di Eboli (SA) ha il sorriso contagioso e la battuta pronta tipiche di questo spicchio di Campania. Una terra che alla famiglia Lembo ha offerto anche altre preziose qualità, come l’arte per creare uno dei babà più buoni ed apprezzati del mondo.
La storia della Pasticceria APA comincia nel 1975 a Perdifumo, nel cuore del Cilento, quando Gennaro inizia a produrre babà e tanti altri prodotti tipici della pasticceria campana.
Passo dopo passo, anno dopo anno, l’Antica Pasticceria Artigianale conquista i palati degli appassionati, fino a festeggiare, proprio nel 2015, i 40 anni di attività. “Oggi produciamo semilavorati per pasticcerie, aziende dolciarie, ristoranti e bar”, ci spiega il figlio di Gennaro, Luca, che insieme alle sorelle Sabina e Antonella e agli altri collaboratori addetti alla produzione formano la squadra della Pasticceria APA.
“Abbiamo due gamme di prodotti, i secchi e i surgelati. In tutto, ogni giorno, riusciamo a produrre migliaia di confezioni tra babà di varie misure, cannoli, sfogliate e tartellette”. Prodotti che la Pasticceria APA esporta in Italia, in Europa e nel mondo, “anche in mercati difficili come gli Stati Uniti, la Cina e l’Australia. La nostra produzione - aggiunge Luca Lembo - si basa su un mix di innovazione e tradizione. Innoviamo ogni giorno, migliorando costantemente la qualità dei nostri prodotti e l’efficienza della produzione e della rete commerciale, ma le ricette e i segreti del mestiere sono figli di questa terra, che noi esportiamo in tutto il mondo”.
Negli ultimi tempi, APA ha progettato “Babàcio”, un dispenser che permette di mantenere inalterate la bontà e la fragranza di queste prelibatezze campane. “Con questa nostra invenzione, riusciamo ad offrire a tutti i nostri clienti un prodotto sempre di qualità, consistente e saporito”, riprende a raccontare Gennaro Lembo. “Ho iniziato a produrre babà negli anni ’70, ma, ancora oggi, la più grande soddisfazione arriva dall’apprezzamento dei clienti per i nostri prodotti. Soprattutto dagli stranieri che, una volta provato, capiscono perché in Campania, per indicare qualcosa di veramente buono, si dice “è proprio nu babà!”, conclude con un sorriso coinvolgente.
Luca e Gennaro Lembo nel video “Speciali artigiani, le storie” del Tg@ di Confartigianato: clicca qui.
APA Antica Pasticceria Artigianale
Eboli (SA)
www.apadolci.it
Confartigianato Salerno
www.salernoconfartigianato.it