Autotrasporto: esteso fino al limite di 58 ore l’orario di lavoro degli autisti ‘discontinui’
Ritoccato il contratto collettivo nazionale degli operatori mobili dell’autotrasporto nella parte che riguarda l’orario di lavoro. Le modifiche introducono uno speciale regime orario per gli autisti ‘discontinui’, quelli il cui tempo di lavoro non coincide con i tempi di presenza in azienda. In base a tali modifiche si allunga la durata media settimanale della prestazione lavorativa che potrà essere estesa fino a 58 ore settimanali (compreso lo straordinario), con punte massime di 61 ore settimanali, su un periodo di sei mesi. Il nuovo regime orario è subordinato alla stipula di un accordo sindacale. La novità è stata introdotta da un’intesa tra i sindacati dei lavoratori e le parti datoriali, sottoscritta lo scorso 3 aprile, con la quale sono stati armonizzati gli articoli 11 e 11 bis del CCNL vigente con le nuove regole introdotte dal Decreto legislativo n. 234/2007, che ha recepito - anche se con grande ritardo - la direttiva europea n. 152/2002 che ha fissato precisi limiti all’orario di lavoro degli autisti. Il Decreto legislativo conferma i vincoli contenuti nella direttiva della UE: l’orario di lavoro degli autisti non può superare le 48 ore settimanali di media nell’arco di 4 mesi e le 60 ore nella singola settimana, fatti salvi i “limiti più ampi previsti dalla contrattazione collettiva”. E’ proprio grazie alla ‘finestra’ prevista dal Decreto, che affida la definizione dell’orario lavorativo alla contrattazione tra le parti, che è stato introdotto il regime speciale per gli autisti discontinui. E se l’accordo tra le parti non viene raggiunto? In questo caso la prestazione complessiva del lavoratore discontinuo rientra nei limiti generali, alla pari di qualsiasi altro autista (media settimanale di 48 ore). Per quanto riguarda il livello di sottoscrizione degli accordi in questione, in principio era previsto solo il livello aziendale. Grazie all’intervento di Confartigianato Trasporti è stata inserita una Nota a verbale in calce all’articolo 11 bis dell’accordo, che prevede un’importante deroga per le imprese che occupano fino a 8 dipendenti: “Per le aziende che occupano fino a 8 dipendenti gli accordi di cui all’art.11 e 11 bis possono essere stipulati dalle Associazioni cui aderiscono le imprese con le rappresentanze territoriali congiunte delle organizzazioni sindacali firmatarie del presente CCNL. Tali accordi dovranno indicare il nominativo delle aziende cui gli accordi stessi si riferiscono”.
IN BREVE - Autotrasporto, definiti l’entità ed i termini per il rimborso dell’accisa sul gasolio
L’Agenzia delle Dogane ha definito le modalità ed i termini per il rimborso dell’accisa sul gasolio per autotrazione del 2007. Il compenso previsto per l’autotrasporto merci è stato fissato a 12,78609 euro per mille litri di gasolio consumato. Per presentare l’istanza di rimborso le imprese avranno tempo fino al 30 giugno 2008. Al momento, invece, non è rimborsabile l’ulteriore incremento dell’aliquota introdotto dal decreto legislativo n. 26/2007. Per farlo, infatti, occorre l’approvazione della Unione Europea, che ancora non si è espressa al riguardo.
Imprese italiane eppure ‘straniere’
In Italia sono sempre di più gli immigrati che decidono di mettersi in proprio. Confartigianato li ha contati: a fine 2007 erano 388.610 tra titolari, soci, amministratori di imprese individuali o di società. Traducendo il numero in valore percentuale, emerge che circa il 3,9% delle persone legate al totale delle attività economiche del Paese oggi è straniero. Se lo squilibrio numerico tra gli imprenditori di nazionalità italiana, attualmente il 92,4%, e quelli stranieri, che come si è visto ammontano al 3,9% è ancora forte, un secondo dato riavvicina una distanza solo all’apparenza incolmabile. Il 12,1% degli imprenditori e lavoratori autonomi extracomunitari, infatti, ha meno di 30 anni, contro il 6,6% degli italiani. Se a questo si aggiunge che gli imprenditori stranieri con oltre 50 anni sono il 21%, meno della metà degli italiani che sono over 50 nel 44,9% dei casi, il quadro che emerge conferma che nel Paese è in atto una crisi vocazionale del fare impresa che colpisce il doppio dei giovani italiani rispetto ai loro coetanei immigrati. I dati elaborati dall’Ufficio Studi di Confartigianato permettono di tracciare una mappa completa e a più strati della penetrazione dell’imprenditoria extracomunitaria nel tessuto produttivo italiano. In sostanza i dati rispondono alle seguenti domande: quanti sono e da dove vengono, dove sono, cosa fanno. Quanti sono e da dove vengono - E’ il bacino del Mediterraneo ad alimentare in massima parte la filiera di imprenditori e lavoratori autonomi extracomunitari. Al primo posto assoluto il Marocco (50.801, pari al 13,1%). Seguono l’Albania (29.269, pari al 7,5), l’Egitto (19.489, pari al 5,0%), la Tunisia (14.517 pari al 3,7%). Tra Marocco e Albania, si inseriscono, rispettivamente al secondo e terzo posto, la Svizzera (43.400, pari al 11,2%) e la Cina (42.290, pari al 10,9%). Si potrebbe anche proseguire, ma l’elenco è lungo. Quella che emerge, alla fine, è un’operosa Babele composta da 192 nazioni che elegge l’italiano a lingua comune e il “fare impresa” a modalità lavorativa. Un dato va però spiegato, perché balza subito all’occhio. E’ quello della diffusa presenza in Italia di imprenditori svizzeri. Il motivo è semplice. Nella maggior parte dei casi si tratta di emigranti italiani che rientrano nei paesi d’origine dopo aver lavorato nella Confederazione. Nessun esodo dal Paese transalpino, dunque. Piuttosto un controesodo. Cosa fanno – Circa 131.524 imprenditori, pari al 33,8%, sono impegnati nel “Commercio al dettaglio” e nelle “Riparazioni”; segue, anche se a grande distanza, il comparto delle “Costruzioni” che assorbe 75.878 persone (19,5%); ‘fanalino di coda’ le “Attività manifatturiere” con 49.265 imprenditori (12,7%). I dati permettono di scendere ulteriormente fino al dettaglio dei settori più gettonati di ogni singolo comparto. Nel Manifatturiero, ad esempio, le “Confezioni di articoli di vestiario e pellicce”, vanno per la maggiore: 11.710 soggetti (23,8%). Anche le “Industrie alimentari e delle bevande” ‘tirano’ ( 8.108 imprenditori pari al 16,5%), così come i “Prodotti in metallo” (6808 pari al 13,8%), la “Concia e il cuoio” (3.878 pari al 16,5%) e la “Fabbricazione mobili e altre industrie manifatturiere” (3.535 pari al 7,2%). L’indagine di Confartigianato elenca anche una serie di attività dove la presenza di imprenditori e lavoratori extracomunitari è superiore alla media nazionale del 3,9%: Costruzioni (6,1%), Commercio al dettaglio e riparazioni (5,8%), Trasporti e comunicazione (5,3%), Alberghi e ristorazione (4,4%). Dove sono – I dati del 2007, molto simili a quelli dell’anno precedente, non sconvolgono una geografia dell’imprenditoria d’importazione che sembra consolidarsi in luoghi ormai precisi. E’ ancora la Lombardia in testa alla classifica delle regioni con il maggiore numero di imprenditori extracomunitari: 83.911, pari al 21,6%. Al secondo posto di nuovo il Lazio, ma con meno della metà delle presenze: 39.129 (10,1%). Segue l’Emilia Romagna, che sorpassa il Veneto, anche se di poco: 37.761, contro 37.586. Il valore percentuale riallinea, però, le due regioni: 9,7%. Al quinto posto ancora la Toscana con 35.588 soggetti (9,2%). I dati sfatano alcuni luoghi comuni, e ne confermano altri. In Lombardia, gli imprenditori cinesi sono davvero molti, il 10,5% del totale, ma non sono i più numerosi. Il primato spetta infatti agli egiziani con il 15%. Come si può notare, i valori percentuali relativamente bassi, e sostanzialmente vicini tra loro, confermano una compresenza di un altissimo numero di differenti etnie sul territorio, ben 192 a livello nazionale. I cinesi sono la prima comunità di imprenditori extracomunitari in Toscana (23,8%). Dietro di loro quella degli albanesi (15,6%). In Veneto, invece gli imprenditori provenienti dalla Cina (12,2%) sono al secondo posto, subito dopo gli Svizzeri (13,4%). Nel Lazio, testa a testa tra imprenditori cinesi e del Bangladesh: 4.122 i primi, 4.133 gli altri. Venendo alle province che ospitano il maggior numero di imprenditori non italiani, comprendendo anche le città metropolitane, ecco che Milano, con 42.477 persone (10,9% del totale) supera Roma (32.841 - 8,5%), Torino (15.685 – 4,0%), Firenze (11.782 – 3%). Seguono due province più piccole, Brescia e Treviso, rispettivamente con 10.793 e 8.895 imprenditori extracomunitari. Un ultimo dato: se esaminiamo l’incidenza degli imprenditori extracomunitari sul totale di titolari, soci ed amministratori di imprese, troviamo che a Prato un imprenditore su dieci (10,6%) è extracomunitario.
Non ha effetto sul Durc la rateizzazione dei debiti Inail
La conversione in legge del decreto “milleproroghe 2008” ha introdotto alcune significative novità in materia di riscossione coattiva dei crediti contributivi e, in particolare, di rateizzazione dei crediti iscritti al ruolo. Per effetto della nuova normativa, cambiano anche alcuni aspetti del rilascio del DURC. La circolare INAIL n.22 del 3 aprile 2008, illustra le novità del testo. La principale novità introdotta dalla nuova disciplina riguarda l’allargamento della competenza a concedere la rateizzazioni delle somme iscritte a ruolo per debiti fiscali e contributivi, competenza che finora era riservata agli enti creditori. Ora tale facoltà è stata estesa anche agli agenti della riscossione. A partire dal 1° marzo 2008, le istanze di rateizzazione delle somme iscritte al ruolo dall’INAIL per debiti contributivi, vanno presentate direttamente agli agenti della riscossione che su richiesta del contribuente possono ripartire il pagamento fino a un massimo di settantadue rate mensili, in caso di “temporanea situazione di obbiettiva difficoltà” dello stesso. Se gli importi sono superiori a 50.000 euro (non più 26.000), gli agenti di riscossione possono concedere la rateizzazione solo dietro presentazione di una garanzia che, se consiste in una ipoteca di primo grado, deve essere autorizzata dall’INAIL. Un’altra importante novità riguarda la possibilità per il debitore di presentare domanda di rateizzazione anche successivamente all’inizio della procedura esecutiva, che parte con il pignoramento. La circolare dell’INAIL affronta anche il tema degli effetti della nuova normativa sull’emissione del DURC. In particolare l’Istituto segnala che l’azienda è considerata regolare anche quando vi sia stato un provvedimento di accoglimento della domanda di rateazione. La sola presentazione dell’istanza, invece, non consente di attestare la regolarità. Attenzione a non saltare le rate: in caso di mancato pagamento della prima rata o, successivamente, della seconda, decade il beneficio della dilazione, con invito a regolarizzare la posizione entro 15 giorni. Durante tale periodo il DURC non potrà che attestare “l’irregolarità contributiva” del contribuente. Nell’ambito del “milleproroghe 2008” sono state apportate modifiche anche al termine di notifica della cartella e all’indicazione del responsabile del procedimento. Slitta di oltre un anno l’entrata in vigore dei nuovi termini di notifica della cartella esattoriale, ridotti dalla legge finanziaria 2008 da 11 a 5 mesi: si applicheranno ai ruoli consegnati a partire dal 31 ottobre 2009 e non dal 1°aprile 2008. Per i ruoli consegnati dal 1° giugno 2008, la cartella di pagamento dovrà contenere l’indicazione dei responsabili del procedimento di iscrizione a ruolo, di emissione e di notificazione della cartella, “pena la nullità” della stessa, come informa la Direzione Generale INAIL – Centrale Rischi.
Tre ricette per un Paese a “prova” di piccole imprese
Su almeno una cosa Walter Veltroni, Silvio Berlusconi, Pier Ferdinando Casini, sono d’accordo. I leader delle tre formazioni politiche che si sono confrontati in tre distinti incontri con la Giunta Esecutiva di Confartigianato, in vista delle consultazioni elettorali del 13 e 14 aprile, si sono detti d’accordo che le priorità indicate dalla Confederazione alla politica come essenziali per far ripartire il sistema Paese, sono quelle giuste. E loro le sottoscrivono. Tutti d’accordo, quindi, che la spesa pubblica va ridotta, gli sprechi eliminati, la pressione fiscale su imprese e famiglie abbassata, i costi della burocrazia contenuti. Ma c’è di più. E anche su questo Confartigianato ha incassato un sostanziale ‘si’ dai tre leader: porre le piccole imprese al centro degli interventi per rilanciare la competitività. Perché c’è poco da dire, sono le piccole imprese che trainano l’occupazione: in un anno hanno creato 517.000 posti di lavoro, mentre nello stesso periodo le grandi aziende ne hanno persi 117.000. Un Paese a “misura” di piccola impresa, è un Paese destinato a crescere. Sui principi generali, insomma, il giudizio è unanime: le inefficienze che pregiudicano lo sviluppo vanno sanate e sono urgenti misure per alleggerire il pesante fardello che grava su imprese e famiglie. Sulle misure da attuare, invece, ognuno propone una ricetta diversa. Al cuore del progetto politico di Walter Veltroni, che ha aperto la rassegna di incontri di Confartigianato, c’è il desiderio-impegno di un ‘Paese semplice”. In sostanza, più snello dal punto di vista burocratico e meno gravoso da quello fiscale. La proposta di Veltroni prevede la riduzione del numero degli adempimenti e l’abbassamento di almeno un punto della pressione fiscale, una misura quest’ultima, che a suo giudizio si potrebbe ottenere attraverso proporzionali tagli alla spesa pubblica. Alla semplificazione è dedicata l’iniziativa “Un’impresa in un giorno”. “Lo Stato è troppo lento e richiede documenti che ha già – spiega Veltroni –. Per aprire un’impresa deve bastare un’autocertificazione. Fatto salvo il rispetto degli adempimenti previsti dalla legislazione sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, che vanno rispettati”. Per le imprese Silvio Berlusconi propone “un’azione importante: l’Iva non si paga all’emissione della fattura, ma quando viene incassata”. E poi il rilancio delle infrastrutture. “La mancanza di infrastrutture pesa, per il tempo di spostamento dei cittadini e delle merci, per il 20,6% del Pil, mentre nel resto d’Europa per il 16%. Una differenza di quattro punti che vale 65/67 miliardi di euro”. Quindi via libera alle merci – “ma solo a quelle su rotaia”, ha specificato Berlusconi – ai trafori, al Corridoio 5. Per tagliare il debito pubblico, la proposta del Popolo delle Libertà è quella di ammodernare e ‘digitalizzare’ la pubblica amministrazione, ma anche, e soprattutto, vendere i beni dello Stato. “Pensiamo di ridurre il debito pubblico mettendo in vendita anno dopo anno alcuni beni dello Stato”. Una vendita scalare che, secondo il Cavaliere, dovrebbe portare al recupero di “almeno un punto di Pil l’anno – quindici miliardi di euro ogni anno – abbattendo in cinque anni il debito pubblico dal 105% al 100%.” Tra le priorità di Berlusconi anche gli interventi a sostegno delle famiglie. “Bisogna ridare i soldi alle famiglie – ha dichiarato il Cavaliere – attraverso gli incentivi e i premi di produttività. Con questo noi aumenteremo la produttività, soldi che entrano nelle tasche delle famiglie, e che fanno aumentare i consumi”. Sempre per contrastare la sindrome della terza settimana, il leader del PDL ha avanzato la proposta del taglio di “due miliardi di euro di Ici. Un vero pilastro”. Prevista anche una ricetta per innalzare le pensioni: “Faremo un adeguamento al costo della vita, toglieremo il divieto di cumulo tra moglie e marito, e a chi, pur essendo pensionato continua a lavorare, gli entrerà quasi il 50% in più”. Casini, invece, compie un percorso inverso da quello di Berlusconi e differente da quello di Veltroni. Per l’ex-presidente della Camera bisogna partire dalla riduzione della spesa pubblica per arrivare agli interventi a favore della famiglia. “Una delle differenze fondamentali fra il nostro programma e il libro dei sogni degli altri candidati è che noi partiamo dal risanamento dello Stato, e indichiamo anzitutto il modo con il quale reperire le risorse per qualsiasi intervento”. Il primo taglio indispensabile secondo Casini è quello delle Province che “consentirebbe il risparmio di 11 miliardi di euro, senza toccare posti di lavoro”. A Ministeri e Agenzie, Casini riserverebbe l’accorpamento. In alcuni casi, come quello del Cnel, la chiusura. Come Berlusconi anche Casini prevede la smobilizzazazione dei beni dello Stato. Circa 30 miliardi di euro che il leader dell’UDC destinerebbe “alla riduzione del debito pubblico”, ma con una significativa novità. “I risparmi liberati grazie ai minori interessi, per la riduzione del debito, saranno utilizzati per ridurre le tasse”. Sempre in tema di fiscalità Casini ha indicato come essenziale il “rispetto dello statuto del contribuente”, per cui niente più imposte retroattive. E poi la “Pax fiscale” (“Ci impegnamo a non introdurre per almeno due anni regole nuove o a modificare quelle presenti”), e le politiche a favore della famiglia. “Se sosteniamo la famiglia – ha spiegato il candidato premier dell’UDC – favoriamo i consumi. E’ per questo che abbiamo introdotto il raddoppio degli assegni famigliari per ogni figlio a carico, la deduzione dal reddito delle spese per gli asili nido, le suole materne, i libri scolastici, ma anche le spese mediche, l’aumento delle detrazioni fiscali per gli interessi dei mutui sulla prima e sulla seconda casa. Una cedolare secca del 20% di Irpef sugli affitti, il blocco delle addizionali regionali e comunali Irap e Irpef, la detassazione degli straordinari sui redditi da lavoro…”. Convergenza tra Casini e Berlusconi sull’energia. Per entrambi, la strada da percorrere per sganciare il Paese da una sudditanza energetica - pericolosa dal punto di vista strategico e costosa da quello pratico - è un rapido dietro-front rispetto alle scelte degli anni 70/80, che il Cavaliere ha definito “assurde” e il leader dell’UDC “scellerate” e “demenziali”. Sulla produzione dell’energia, Casini ha detto che l’Italia è il paese del ‘no’. “Abbiamo detto no a tutto. No ai rigassificatori, no ai termovalorizzatori, no al nucleare. Queste scelte ci stanno uccidendo”. Conclusione comune per i due politici: riprendere la strada del ‘sì’ a queste importanti infrastrutture. Le liberalizzazioni. Nonostante le ovvie differenze ideologiche e di impostazione, sia per Veltroni che per Casini, il problema segnalato dalla Confederazione c’è eccome, e va pure risolto in fretta. “Condividiamo l’approccio top-down – ha dichiarato il leader del Partito Democratico -. Serve a poco liberalizzare alcuni “piccoli” se poi non si superano le rendite di posizione dei “grandi”. Noi vogliamo contrastare l’offensiva delle utilities nel mercato post contatore. Un’offensiva che in molti casi si configura come un vero e proprio abuso di posizione dominante”. Casini, invece, sottolinea che sulla questione il suo programma “è quello più liberale in circolazione”. E non risparmia un affondo al Governo Prodi. “Hanno colpito migliaia di piccole imprese senza ottenere risultati apprezzabili. Io non ho visto più taxi in giro, e neppure sono diventati meno cari. Non si è liberalizzato dove si doveva”. Il leader dell’UDC un settore da liberalizzare in via prioritaria ce l’ha in testa, e anche da tempo: i servizi pubblici locali. Che sono sfuggiti al Disegno legge del Ministro Lanzillotta, bloccato dal veto ideologico di Rifondazione Comunista, e dal prevedibile veto dei Comuni. “E’ necessario ristabilire la concorrenza nel settore dei servizi pubblici locali (energia, gas, acqua, rifiuti), con ovvi benefici sulle tariffe dei servizi erogati”.<
Malattie professionali, arriva l’aggiornamento del Lavoro
La Commissione Scientifica incaricata dal Ministero del Lavoro ha aggiornato l’elenco delle malattie di sospetta origine professionale, uno strumento valido per la prevenzione dei disturbi di salute legati al luogo di lavoro. Così, con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale ed il precedente decreto del Ministero, l’aggiornamento diventa ufficiale e va a sostituire il vecchio elenco dell’aprile 2004. Il registro, come nelle passate versioni, distingue le possibili malattie in tre diverse liste secondo la probabilità di ricondurre il male alla professione svolta. Nella terza sono indicate le malattie la cui origine lavorativa è appena possibile, nella seconda compaiono quelle di limitata probabilità ed infine, nella prima lista, quelle che con elevata probabilità possono essere ricondotte al lavoro svolto. E’ proprio da quest’ultima lista che parte la revisione che periodicamente effettua la Commissione Scientifica, i cui membri sono rappresentanti dei Ministeri del Lavoro, del Tesoro e della Salute, dell’Istituto Superiore della Sanità, dell’INPS, dell’INAIL e di altre Istituzioni, come il CNR e l’Ipsesl, l’Istituto per la sicurezza sul lavoro. Il decreto legislativo n. 38/2000, ultima tappa dell’iter di costituzione del registro, oltre a riconoscere nella Commissione Scientifica il gruppo di lavoro incaricato di aggiornare periodicamente l’elenco, considerate le continue variazioni dei processi produttivi, ha anche istituzionalizzato la possibilità di ricondurre ogni malattia, anche se assente dall’elenco, alla professione svolta, purché sia proprio il lavoratore a dimostrarne l’effettivo legame.