“Energia semplice” al servizio del consumatore
L’Autorità per l’energia elettrica e il gas ci prova. Ci prova a far dimenticare anni di bollette di difficile lettura, di contratti di fornitura di elettricità e di gas ‘blindati’ da un mercato non liberalizzato e da note e clausole vergate con sapienza a piè di pagina con i caratteri più piccoli della moderna editoria digitale. Con la pubblicazione “Energia semplice – le novità del mercato dell’energia e del gas”, l’Autority compie uno sforzo di chiarezza e si rivolge direttamente ai consumatori e alle imprese per informarli dei nuovi diritti e delle nuove opportunità che hanno a disposizione con la liberalizzazione del mercato dell’energia. Perché c’è poco da dire, il mercato liberalizzato apre nuovi orizzonti, l’Autority vigila affinché le severe norme dettate dall’Unione Europea a tutela dei consumatori vengano rispettate, ma il rischio di pratiche ingannevoli o informazioni fuorvianti da parte dei fornitori è sempre dietro l’angolo. In sostanza, le regole ci sono, c’è chi le fa rispettare, ma anche il consumatore deve fare la sua parte. Informandosi. E’ lo stesso Presidente dell’Autorità, Alessandro Ortis, a illustrare gli obiettivi di “Energia Semplice”, nella prefazione dell’opuscolo. “Tutti i cittadini hanno ora il diritto di scegliere liberamente il proprio fornitore di energia elettrica e gas naturale. L’Autorità per l’energia si è impegnata a far sì che tale diritto sia sempre più facilmente esercitatile. Questa guida “Energia semplice” vuol contribuire ad un’informazione più completa; aiutare il cittadino-consumatore a conoscere più approfonditamente le “liberalizzazioni” per il settore energetico e le opportunità che esse offrono, ad orientarsi nel nuovo scenario, con una maggiore consapevolezza dei propri diritti, delle tutele previste e degli strumenti a disposizione”. La pubblicazione, scaricabile dal sito www.autorita.energia.it – che per l’occasione ha adottato una nuova veste grafica e una struttura più snella e più facilmente consultabile, oltre ad aver aperto una sezione dedicata ai piccoli consumatori “La finestra del consumatore” – è divisa in due sezioni: la prima dedicata all’energia elettrica, la seconda al gas. Ogni paragrafo, di entrambe le sezioni, risponde a una di quelle domande che frullano nella testa di un consumatore, invitato a sottoscrivere un nuovo contratto, o che vuole recedere da quello già sottoscritto Cosa cambia realmente tra un fornitore e un altro? E se sbaglio, posso tornare indietro e cambiare fornitore? Esistono penali? Chi mi vende il servizio è abilitato a farlo? Come faccio a confrontare i prezzi? Sarà davvero il più conveniente? Le risposte sono chiare e articolate e risolvono la maggior parte dei dubbi. Per i cittadini-consumatori, una svolta; per le piccole imprese, un interessante riepilogo di informazioni già disponibili presso le sedi di Confartigianato. Ora che il mercato non è più ingessato, è giusto verificare le opportunità di ottenere servizi e forniture a prezzi migliori. Un’opportunità che, ricorda l’Autority, è ormai pienamente nelle mani del consumatore. Che però deve essere messo nelle condizioni di compiere scelte informate. Anche per questo nelle ultime pagine dell’opuscolo è inserita una nota sintetica che indica al consumatore una serie di domande che può porre a chi gli propone una fornitura di energia elettrica o di gas, per evitare eventuali fregature. Le domande sono le seguenti ed è bene averle pronte per la prima occasione, magari per non farsi sfuggire un’offerta davvero vantaggiosa: Chi è l’azienda che propone il contratto e a quale recapito è possibile trovarla; Qual è il prezzo del servizio e come può cambiare nel tempo; Eventuali altre spese a carico del cliente; La data di avvio del servizio, il tempo di attivazione, la durata del contratti, le modalità di recesso; Come e quando saranno misurati i consumi; Con quali scadenze si deve pagare; Come ottenere informazioni e reclami; In quali casi l’azienda deve versare un indennizzo automatico; Come chiedere e ottenere una copia scritta del contratto.
I distretti, il cuore produttivo del Paese
Cinquanta milioni di euro per rafforzare il sistema organizzativo dei distretti produttivi adottati dalle regioni. La fetta principale (40.000.000) sarà ripartita tra le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano: servirà per cofinanziare progetti relativi ad attività di ricerca industriale, trasferimento ed interscambio tecnologico, diffusione dell’ICT, miglioramento ambientale delle aree produttive, risparmio energetico e servizi logistici. La parte rimanente, dieci milioni, sarà impiegata per finanziare progetti di carattere nazionale, attuati direttamente dal Ministero dello Sviluppo economico, “finalizzati - si legge nel Decreto interministeriale che ha dato il via libera al contributo - alla realizzazione di infrastrutture materiali e immateriali dirette a sviluppare collegamenti e servizi di supporto ai distretti e alle imprese appartenenti ai distretti, in particolare mediante l’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e delle telecomunicazioni, nonché alla promozione allo sviluppo del modello distrettuale e alla realizzazione di forme di collaborazione fra distretti in un ambito multiregionale”. Il finanziamento, anche se in realtà si tratta di un co-finanziamento, perché, infatti, tolti i dieci milioni di euro gestiti direttamente dal Ministero dello Sviluppo Economico per progetti d’interesse nazionale, i rimanenti quaranta concorrono a sostenere le spese dei progetti presentati dalle regioni, fino al tetto massimo del 50%, è stato previsto dalla Finanziaria 2007. In attuazione della norma, il Ministro Bersani ha emanato un Decreto per individuare i progetti che possono essere ammessi a tale beneficio. La pubblicazione del provvedimento in Gazzetta Ufficiale, avvenuta il 22 marzo 2008, ha fatto scattare il conto alla rovescia per la presentazione dei piani. Ora le regioni hanno a disposizione novanta giorni per riassumere le motivazioni degli interventi proposti, per descrivere le azioni che intendono compiere a favore dei distretti, indicare i risultati attesi, e precisare gli aspetti finanziari. Facendo un rapido conto ci si accorge che la cifra messa a budget non è enorme, soprattutto quando la si suddivide tra tutte le regioni secondo il preciso schema allegato al Decreto ministeriale. Alla Lombardia sono destinati più di sette milioni di euro, al Veneto e all’Emilia Romagna più di quattro, al Piemonte tre milioni e mezzo. Gli importi calano via via, fino ai 43.600 euro previsti per la Valle d’Aosta. Se cinquanta milioni di euro sembrano obiettivamente pochi per sostenere con decisione il sistema delle imprese che formano i distretti industriali – la realtà più dinamica del Paese per il 78,6% rappresentata da piccole imprese con meno di dieci addetti – si tratta, comunque, di un segnale di attenzione importante da parte della politica che negli ultimi anni aveva quasi ‘dimenticato’ i distretti, non dando attuazione alle norme inserite nella Legge Finanziaria 2006 dall’allora Ministro Tremonti. E’ interessante rilevare come le coordinate su cui si dovranno sviluppare i progetti ammessi al finanziamento, sono le stesse che Confartigianato aveva indicato come prioritarie al termine di un focus group che si era tenuto la scorsa primavera a Milano. In testa alla lista: servizi all’innovazione di processo e di prodotto e potenziamento dei collegamenti e delle connessioni ai distretti e tra i distretti. Ma l’obiettivo dell’incontro milanese era ancora più ampio. In sostanza si voleva verificare se i distretti rappresentassero ancora una risposta sufficientemente forte per governare dinamiche quali la globalizzazione dei mercati, la concorrenza internazionale, l’aggressione commerciale della Cina. La risposta è stata le seguente: se si comprendono le trasformazioni che negli ultimi anni hanno ridisegnato profondamente la realtà dei distretti, allora sì, rappresentano ancora uno strumento utile per spingere il made in Italy. La trasformazione più evidente, colta pienamente anche dal Ministero dello Sviluppo economico che l’ha posta a base dei progetti in favore dei distretti, riguarda la trasformazione fisica degli stessi. Che negli ultimi anni hanno perso una delle loro caratteristiche peculiari: i confini. La situazione è ben riassunta in un documento di Confartigianato: “Il terreno produttivo chiuso in se stesso ed autoreferenziale è stato soppiantato da un sistema allargato di relazioni tra imprese, distretto ed ambiente esterno. Le esigenze delle imprese hanno orientato lo sviluppo dei distretti fino alla creazione di ‘metadistretti’ e “piattaforme produttive”. Per conoscere lo stato di salute dei principali distretti produttivi italiani, e per sapere quanto incidono sulla bilancia commerciale del Paese, bisogna guardare dentro ai dati diffusi nelle scorse settimane dalla fondazione Edison, che ha tracciato il bilancio delle loro attività negli anni compresi tra il 2001 e il 2007. Le cifre in blu prevalgono su quelle rosse, a conferma della capacità delle imprese italiane, e quindi dei distretti, a orientarsi in scenari competitivi in rapidissima evoluzione. Dall’analisi, un dato appare evidente: a parte poche tendenze che si delineano con una certa chiarezza, ogni caso fa parte a sé. Una realtà che costringe a mettere da parte le generalizzazioni. Facciamo alcuni esempi. Il tessile e la moda, dopo i record d’inizio millennio, oggi stentano a ripartire. Questo a nord come a sud. A picco Prato(-29,9%), Como (-14%), Treviso (-8,3%). Ma anche in questo comparto produttivo, che appare il più penalizzato, non tutti gli indici sono a ribasso. A Carpi, il tessile-abbigliamento, non fa segnare progressi record, ma neppure tonfi clamorosi: +9,3%. Positive anche le esportazioni di Castel Goffredo (+5,2%). Cresce anche l’export di Firenze:1,7%. La vera rivelazione di questi ultimi anni, è rappresentata dai distretti dell’alimentare e delle bevande. Che sono esplosi. Al nord, al centro, al sud. Nella classifica della Edison, trovare uno di questi distretti produttivi con il segno meno davanti è un’impresa, che alla fine non riesce. Infatti non ce n’è uno. Sono tutti compresi in un intervallo che va tra il buono e l’ottimo. Parma-Reggio Emilia, grazie ai formaggi, tocca una quota di export formidabile: +105,6%. Le Langhe, inseguono, anche se a grande distanza: +62,3%. Poi Monferrato (58,2%), Trento (47,9%), Chianti – Senese (5,9%). Assieme all’alimentare volano i distretti della meccanica. Anche qui i risultati sono tutti positivi: dal +68, 4% del distretto Lumezzane-Bresciano, al 63,8% di quello di Reggio Emilia. Le rubinetterie e il valvolame del distretto di Cusio-Valsesia, chiudono la classifica con un risultato di eccellenza: +34,9%. Che quella dei distretti sia una realtà sfaccettata, lo dimostra anche un altro caso, quello dell’Arredo-Casa. Che non va benissimo, o che almeno presenta due facce opposte. Mentre le esportazioni di divani delle Murge sono al ribasso del -47%, i mobili del distretto Livenza-Piave dal 2001 sono cresciuti del 28,8%.
ARTIGIANA 2008: L’ARTIGIANATO LOMBARDO IN SHOW
Per oltre un mese il fil rouge che legherà tutte le 12 province della Lombardia sarà rappresentato dall’artigianato. Torna “Artigiana 2008”, la grande kermesse dedicata alla valorizzazione e promozione dell’artigianato lombardo a livello nazionale e internazionale, che dal 24 aprile al 26 maggio trasformerà la regione in un gigantesco spazio espositivo monotematico, declinando le eccellenze della produzione regionale in tutte le possibili accezioni. “In un solo mese – ha spiegato l’Assessore all’Artigianato della Regione Lombardia Domenico Zambetti, nel corso della conferenza stampa di presentazione dell’evento – verranno organizzate 12 manifestazioni nei singoli territori provinciali. Le Province saranno così protagoniste, attraverso eventi espositivi, appuntamenti culturali, momenti formativi aperti al pubblico interamente dedicati all’artigianato”. “Artigiana”, è un progetto promosso dalla Regione Lombardia – DG Artigianato e Servizi e da Union Camere Lombardia, con la partecipazione delle Associazioni di categoria dell’artigianato lombardo, tra cui Confartigianato Lombardia, e il supporto a livello territoriale delle Camere di Commercio. L’edizione di quest’anno, la seconda, dal titolo “Artigianato: tra manualità e innovazione” è stata presentata nel corso di una conferenza stampa che si è tenuta a Roma, dall’Assessore all’Artigianato della Regione Lombardia Domenico Zambetti, da Francesco Bettoni, Presidente di Unioncamere Lombardia, da Cesare Fumagalli, Segretario Generale di Confartigianato. Il calendario delle manifestazioni del 2008 è imponente. E prevede: a Monza il “2° salone dell’Artigianato d’arte e dell’eccellenza”, a Mantova la rassegna “Mantova Artigiana, tra manualità e innovazione”, a Brescia l’expo “Dimensione artigianato 2008”, a Varese il “Salone dell’antiquariato e del restauro artistico”, a Sondrio “Art2008 – Viaggio nel cuore dell’artigianato”, a Bergamo “Imart 2008”, a Lecco e a Como la rassegna “Artigianato aperto”, a Lodi “Edilbiotecno – Laboratorio di sviluppo per il benessere abitativo”, a Cremona “La bellezza e il benessere”. Per chiudere con Milano che ospiterà la mostra “I tesori artigiani di Milano” e, il 5 giugno, l’evento di chiusura di “Artigiana 2008”. Tutte le iniziative scorreranno in parallelo e saranno unite, oltre che dalla regia comune, anche da “Piazze Artigiane”, un allestimento itinerante con un percorso multimediale che permetterà di toccare con mano la realtà dell’artigianato. Una realtà fatta di uomini e imprese, come ha sottolineato il Presidente di Unioncamere Lombardia, Francesco Bettoni. “Con “Artigiana” - ha detto Bettoni - vogliamo dare valore all’impresa e all’imprenditore artigiano”. Sul valore dell’artigianato, questa volta in termini economici e di occupazione, si espresso il Segretario Generale di Confartigianato, Cesare Fumagalli. “Siamo il Paese con la maggior presenza di piccoli imprenditori che creano valore aggiunto, occupazione ed export. Ben venga quindi un’occasione come ‘Artigiana’ per rendere visibile questa nostra ricchezza produttiva che ha saputo resistere, senza alcuna ‘protezione’, alla forza violenta della globalizzazione proprio perché è profondamente radicata nel territorio e perché ha saputo coniugare ciò che apparentemente sembra antitetico: manualità e innovazione. Invece proprio in questo binomio sta la forza dell’artigianato”. “Basti pensare – ha aggiunto Fumagalli – che ben 145 mila imprese, pari a un quarto di tutte le aziende manifatturiere con meno di 20 addetti, investono 1,8 miliardi di euro l'anno in ricerca e in innovazione”.
Industria 2015, 190 milioni per l’innovazione del Made in Italy
L’unione, si sa, fa la forza. Quello che non si sapeva, almeno fino alla firma del decreto ministeriale che sblocca i 190 milioni per le imprese del Made in Italy, è che l’unione di forze rappresenta il modo vincente di fare impresa. Soprattutto quando ad interagire tra loro sono le tre facce dello sviluppo: ricerca, servizi per le imprese e le imprese stesse, insieme per rilanciare le filiere locali del Made in Italy e per aprire il mercato globalizzato anche a chi parrebbe costretto, per dimensioni d’impresa, al mercato locale. Parte integrante di “Industria 2015”, il piano “Nuove tecnologie per il Made in Italy” mette a disposizione delle aziende un totale di 190 milioni di euro per attuare progetti di sperimentazione, sviluppo ed innovazione industriale. Contributi per progettare nuove tecnologie e processi innovativi grazie ai quali rilanciare la competitività delle quattro grandi filiere del Made in Italy, il sistema moda ed il sistema casa, la filiera alimentare e quella meccanica. Il Ministero finanzia anche lo sviluppo e la ricerca di nuove tecnologie per le imprese, dai materiali innovativi a nuove modalità per la gestione dei processi aziendali, come la logistica e la distribuzione. Per rafforzare la competitività delle piccole e medie imprese, ed in particolare la sub fornitura, il piano ha riservato 25 milioni di euro esclusivamente per le realtà produttive più piccole. Per accedere ai finanziamenti, le diverse reti d’impresa dovranno presentare un progetto di portata nazionale ad alto tasso d’innovazione, che nasca dalla sinergia tra imprese, centri di ricerca e università. Il Ministero ha anche indicato tre aree - obiettivo per i progetti. La prima punta al rinnovo e alla capitalizzazione delle competenze distinte, la seconda alla cooperazione produttiva e la terza, infine, al presidio strategico dei mercati. I finanziamenti, in forma di contributi in conto capitale, copriranno progetti d’innovazione che costino almeno 7 milioni di euro, fermo restando che il contributo massimo dello Stato non supererà i 10 milioni di euro a progetto e i 2 per ogni richiedente. Sette milioni di euro, però, rappresentano spesso un investimento troppo grande per le piccole imprese. Per questo motivo Confartigianato, nei vari incontri con Alberto Piantoni, il responsabile del progetto sul Made in Italy, ha chiesto misure più agevoli per le piccole realtà produttive italiane. Richieste che, una volta accettate, hanno abbassato la soglia d’accesso per le piccole e medie imprese fino ad un costo totale di realizzazione del progetto compreso tra i 3 e i 7 milioni di euro. Per loro, per le piccole imprese, lo Stato finanzierà al massimo 5 milioni di euro a progetto e non più di 1 milione per ogni azienda. La seconda mossa di Confartigianato ha portato invece alla possibilità, da parte dei gruppi di piccole imprese, di affidarsi ad un manager per la presentazione e la formulazione del progetto. Un esperto che possa accompagnare le imprese nella stesura e nell’ottenimento dei fondi. La presentazione della domanda avverrà in due tempi, a differenza degli altri tre piani di sviluppo industriale, quelli che prevedono finanziamenti per l’efficienza energetica, la mobilità sostenibile e le tecnologie innovative per i beni culturali. Inizialmente le imprese invieranno in formato elettronico un’idea di massima al Ministero, che sceglierà quelle più idonee per poi ricevere, prima della scelta definitiva, i progetti più ambiziosi ed innovativi per il rilancio della filiera produttiva del Made in Italy.
Per gli autotrasportatori arriva la doppia patente
Arriva la Carta di qualificazione del conducente (CQC), che sostituisce nel porta documenti degli autotrasportatori il Certificato di abilitazione professionale. Dal 5 aprile è in vigore la norma, contenuta nel decreto legislativo 286/2005, che introduce l’obbligo del nuovo documento per tutti i professionisti dell’autotrasporto muniti di patente C, C+E, D e D+E a partire dal 10 settembre 2008. Per gli operatori del trasporto persone, invece, il CQC scatterà solo tra un anno, a partire dal 10 settembre 2009. Per taxisti o conducenti di vetture a noleggio, al contrario, non cambia niente. Per loro continuerà ad essere richiesto il Cap di tipo Kb. La carta, che sostituirà gradualmente i certificati kc e kd, avrà una validità di cinque anni e sarà rilasciata ai nuovi autisti, dopo il superamento di un esame. Questo, nel tempo. All’inizio, infatti, il documento sostituirà automaticamente il CAP, senza costringere gli autotrasportatori a sedersi nuovamente dietro ai banchi di scuola. La richiesta del rilascio d’ufficio, varrà anche per i certificati di abilitazione conseguiti dopo il 5/04/2007. Termine ultimo per la presentazione delle domande di “conversione”: 4 aprile 2010. Le domande andranno presentate all’Ufficio della Motorizzazione Civile che le evaderà secondo l’ordine di presentazione. La sostituzione del Cap “per documentazione”, è una novità introdotta da un apposito decreto datato 20/03/2008, che modifica l’articolo 2, comma 1, del decreto interministeriale 7 febbraio 2007, che subordinava il rilascio del CQC al superamento di un esame di “valutazione delle conoscenze”. La modifica era stata richiesta da Confartigianato Trasporti, che aveva evidenziato come la mancata istituzione di appositi corsi di formazione rendesse di fatto inapplicabile la norma. Cambia il documento, ma le sanzioni previste dal Codice della Strada per gli autisti alla guida senza aver conseguito il Cap, o con il Cap scaduto, si applicano integralmente anche ai nuovi possessori del CQC. Per quanto riguarda l’eventuale perdita di ‘punti patente’, per le infrazioni che prevedono tale misura, il Ministero dell’Interno ha fornito le prime indicazioni. “Quando una violazione è commessa alla guida di un veicolo che richiede, oltre alla patente, anche la carta di qualificazione o il Cap tipo kb, la decurtazione di punti si applica su questi documenti”. Con una sola eccezione: quando l’autista ma non è ancora in possesso della CQC. In questo caso i punti vengono tolti dalla patente posseduta. Fino all’entrata in vigore definitiva della riforma, il taglio dei punti dalla CQC potrà avvenire solo se è il conducente a esibire il documento al momento del controllo. Trattandosi di un periodo ‘transitorio’ gli organi di vigilanza non potranno chiedere l’esibizione della patente professionale, visto che il suo possesso non è ancora obbligatorio. Un’ulteriore precisazione riguarda i neo patentati. Quando a commettere un’infrazione che comporta la perdita di punti sulla patente è un neo patentato (in questo caso i punti sottratti raddoppiano), il Ministero degli Interni precisa che “il riferimento è alla data di rilascio della licenza di guida ordinaria e non alla data di rilascio della carta di qualificazione del conducente”.
Mezzogiorno, credito d’imposta agevolato per le nuove assunzioni
Il Ministero dell’Economia ha riconosciuto un credito d’imposta di 333 euro mensili per ogni lavoratore assunto dalle imprese che operano nelle “aree svantaggiate” del Mezzogiorno. Il bonus per l’assunzione delle lavoratrici donne, invece, è pari a 416 euro mensili. Queste le nuove agevolazioni per il Mezzogiorno previste dal decreto ministeriale del 12 marzo 2008, entrato in vigore con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del 10 aprile scorso. Una nuova disciplina che, stando alle intenzioni di via XX settembre, dovrebbe agevolare l’occupazione nel Sud Italia, ed in particolare in Abruzzo, Basilicata, Campania, Calabria, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia. Potranno beneficiare del credito d’imposta agevolato tutti i datori di lavoro che, nel 2008, incrementeranno il numero dei propri lavoratori dipendenti rispetto alla media dei lavoratori del 2007. Per beneficiare del credito d’imposta, che spetta, fanno sapere dal Ministero, anche per i soci lavoratori di cooperative, è necessario che le imprese assumano con contratto a tempo indeterminato per almeno tre anni, due nel caso delle piccole e medie imprese, e che vengano rispettati i termini dei contratti collettivi di lavoro. Requisito fondamentale per beneficiare delle agevolazioni è anche il rispetto di tutte le normative sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori. Per ottenere il bonus, richiesta che le imprese potranno avanzare dal primo giorno del mese successivo all’assunzione, si dovrà presentare richiesta per via telematica all’Agenzia delle Entrate con un modulo che però non è stato ancora approvato.