Confidi, a Treviso la Convention dei direttori di Fedart Fidi
“Stiamo vivendo una flessione economica, non una crisi dalle conseguenze tragiche”. Parole sicure e confortanti quelle di Daniele Alberani, Presidente di Fedart Fidi, la Federazione dei 251 Consorzi fidi artigiani costituita da Confartigianato, Cna e Casartigiani. Per le piccole imprese italiane, secondo quanto emerso durante la Convention dei Direttori, cambia poco o niente. Il loro rapporto con l’accesso al credito e la liquidità creditizia non è mai stato semplice. Il crack statunitense non può aggravare questo scenario. “L’attuale crisi è il risultato di un senso di timore - aggiunge Alberani - Oggi le banche sono meno disposte a prestare denaro e le imprese, da parte loro, sono meno disposte ad investire. Ma questo non vuol dire che sia una tendenza irreversibile, né tanto meno definitiva”. L’uragano americano diventa vento di cambiamento quando approda in Italia. Nel nostro Paese, infatti, non ci sono grandi istituti creditizi che concedono denaro senza garanzie. “I Confidi artigiani - riprende Alberani - devono saper cogliere le opportunità offerte dall’attuale scenario economico, Basilea 2 compreso. Oggi abbiamo la maturità giusta per affermare il ruolo dei Consorzi fidi che, a differenza degli istituti statunitensi, offrono garanzie e contro-garanzie”. In Italia operano 251 Consorzi fidi artigiani, che coinvolgono 700mila imprese socie e che, soltanto nel 2007, hanno registrato un’operatività di 54 miliardi di euro. Una realtà forte, che da sempre rappresenta la corsia preferenziale per il credito alle piccole imprese artigiane italiane. Ma che oggi opera in un contesto economico non esaltante e che, alla luce dei cambiamenti che presto saranno introdotti da Basilea 2, deve rinnovarsi, rinnovare la propria offerta creditizia e gli strumenti offerti a garanzia degli investimenti degli imprenditori artigiani”. La crisi di Wall Street è lontana dai Consorzi artigiani di garanzia, dunque. Ma la flessione c’è. Un recente sondaggio condotto da Confartigianato, e ripreso da Il Sole 24 Ore dello scorso 19 ottobre, ha evidenziato una frenata dell’operatività dei Consorzi del 15 - 20%. “Una situazione da monitorare e sulla quale confrontarci, ma ben lontana dalla drammaticità del crack statunitense”, ha concluso Alberani. Confronto che ha alimentato la due giorni della Convention dei direttori di Fedart Fidi. Due giorni di lavoro intenso, con approfondimenti, confronti e discussioni sull’attuale stato di salute dell’economia mondiale ed italiana, ma anche e soprattutto sul futuro cammino dei Consorzi di garanzia fidi dell’artigianato. Ad aprire i lavori sono intervenuti il Presidente di Fedart Fidi, Daniele Alberani, ed i due coordinatori nazionali, Luciano Consolati e Leonardo Nafissi. Insieme a loro, l’Assessore regionale alle Attività produttive del Veneto, Vendemiano Sartor, ed il Presidente di Confartigianato Veneto, Claudio Miotto, il quale ha accolto con piacere la notizia dello stanziamento di 10 milioni di euro per incrementare le potenzialità dei tre Consorzi di garanzia fidi dell’artigianato veneto. “Abbiamo appreso con soddisfazione che il credito garantito all’artigianato sarà finanziato dalla Regione Veneto con 10 milioni di euro - ha dichiarato Miotto - Soldi che andranno ai tre consorzi regionali di garanzia artigiani con la finalità di elevare l’attuale 50% di garanzia sul prestito sino al 70%”: Davanti agli oltre cento rappresentanti dei Consorzi di garanzia fidi presenti in sala per seguire i lavori, hanno poi preso la parola i tre professori universitari invitati per illustrare nel dettaglio, e lontano dagli allarmismi dei mezzi di comunicazione, l’attuale stato di salute dell’economia mondiale. A cominciare dall’Italia e dai Consorzi fidi. “La forza dei Confidi artigiani sta nel proprio radicamento territoriale, a dimostrazione di quanto svolgano bene il proprio ruolo di mediatori di fiducia creditizia per gli artigiani”, ha debuttato il prof. Aldo Bonomi, direttore dell’Istituto di ricerca Aaster e consulente del Cnel. “Il capitalismo dei Confidi è quello che potremmo definire “capitalismo dei territori”, dove il guadagno nasce dall’investimento di liquidità. Denaro per la produzione, che a sua volta genera ricchezza. E’ questo lo schema economico tracciato dai Confidi artigiani. Un modello - ha aggiunto Bonomi - che ha tenuto lontano dai nostri mercati la crisi economica americana. La crisi non ci ha travolto, dunque. Resta da capire se ne siamo rimasti lontani perché siamo più arretrati rispetto ad altri o perché più furbi degli altri”. Una battuta che si trasforma in un assist perfetto per il prof. Michele Bagella, preside della facoltà di Economia dell’Università Tor Vergata di Roma. “Se il capitalismo non è morto con la crisi del ’29, non lo farà neanche ora. Probabilmente le banche d’investimento americane, ma anche gli istituti bancari europei ed italiani, imporranno limiti e regole più rigide. L’attuale senso di sfiducia - ha aggiunto - sta creando qualche difficoltà alle micro e piccole imprese italiane, difficoltà creditizie e di mercato. Ma stiamo assistendo ad un rallentamento, non ad una catastrofe”. Anche secondo Bagella, infatti, la forza dei Confidi è la “grande conoscenza del territorio, delle imprese che affidano al sistema bancario, delle potenzialità e dell’affidabilità delle micro imprese artigiane italiane. Difficilmente - ha concluso - i Consorzi di garanzia fidi avrebbero commesso lo stesso errore di valutazione commesso dalle banche d’investimento americane”. Nel pomeriggio del primo giorno di lavori, infine, è intervenuto il prof. Mario Comana, docente di Tecnica bancaria presso la Facoltà di Economia della Luiss Guido Carli di Roma. Un intervento che ha puntato dritto al cuore della crisi finanziaria statunitense. “Tutto è nato con lo squilibrio tra la disponibilità di risorse reali ed il consumo di tali risorse da parte delle famiglie americane. Uno squilibrio che ha portato al disallineamento delle scadenze dei mutui. La crisi, in realtà, non ha colpito il sistema bancario “tradizionale”, ma le banche d’investimento”, ha debuttato il prof. Comana. La sfida che attende il mondo dei Consorzi di garanzia fidi, però, non è legata soltanto alla stretta creditizia. Ad attendere i Confidi, infatti, ci sono anche le direttive legate a Basilea 2, che presto entreranno definitivamente in vigore. “Già si parla della necessità di dar vita a Basilea 3, ma l’attuale impianto di Basilea 2 - secondo Comana - ha soltanto un grande neo, la prociclicità, che obbliga le banche ad essere più restrittive in un momento di crisi come questo. Ma buttare via tutto soltanto per questo problema mi sembra piuttosto eccessivo. Posso affermare che estendere logiche di rating rilevatesi poi fallimentari anche alle piccole imprese è la vera tonteria di Basilea 2”. Durante la seconda giornata di lavori, infine, si è parlato delle politiche che segneranno il cammino futuro dei Consorzi fidi. Una sessione interna di lavoro, dove sono state presentate le “best practies” attuate dai diversi Consorzi fidi e dove è stata presentata la convenzione stipulata da Fedart Fidi e Iside Spa. Grazie all’accordo, infatti, Fedart Fidi potrà contare su un sistema informatico integrato, supportato anche da una serie di servizi a valore aggiunto, nell’ambito delle attività di back office bancario. Un primo passo, insieme ai numerosi accorpamenti dei Confidi locali, verso il rinnovamento del sistema dei Confidi artigiani.
Convention nazionale dei Direttori di Fedart Fidi. Crisi finanziaria: contro gli effetti sulle piccole imprese potenziare il ruolo dei Confidi artigiani Per ottenere credito il 42% degli artigiani chiede aiuto ai Confidi. 5,4 mld i finanziamenti garantiti concessi nel 2006 (+ 5,9% rispetto al 2005)
I Confidi sono l’arma più efficace contro lo tsunami della crisi finanziaria i cui effetti su artigiani e piccole imprese sono già molto pesanti in termini di restrizione del credito bancario”.Leggere di più
Convention Direttori Fedart Fidi - Crisi finanziaria
Convention nazionale Direttori di Fedart Fidi - Crisi finanziaria: contro gli effetti sulle piccole imprese potenziare il ruolo dei Confidi artigiani
CONVENTION DEL MEZZOGIORNO: POLITICA E IMPRESA DIALOGANO SUL FEDERALISMO
Il Meridione, secondo un rapporto realizzato dall’Ufficio Studi di Confartigianato, non sembrerebbe l’ambiente più adatto per far crescere e prosperare le imprese. Infrastrutture inefficienti, accesso al credito difficile e denaro più costoso che altrove, sistema formativo carente, “fuga di cervelli” verso le regioni del Centro e del Nord. Tutti elementi che messi insieme, e uniti ai problemi comuni a tutte le imprese del Paese come la burocrazia e la fiscalità esasperate, sarebbero in grado di far passare a chiunque la voglia di fare impresa e che comunque concorrono alla ‘morte prematura’ di una percentuale molto alta di aziende: circa il 47,8% delle imprese chiudono i battenti entro i primi cinque anni di vita, con una perdita annua di 10.521 posti di lavoro. Ma occorre parlare al condizionale. L’ambiente è realmente difficile, quasi proibitivo, ma le piccole imprese sono riuscite a compensare buona parte dei gap e oggi si pongono come modello di riferimento per lo sviluppo delle regioni del Sud. Nel Meridione le micro e piccole imprese rappresentano il 98,7% delle imprese totali e occupano 2.720.141 addetti, pari al 71,6%. Creano anche nuovi posti di lavoro: tra il 2001 e il 2005 il peso dell’occupazione delle MPI fino a 20 addetti è aumentato del 2,2%, mentre nello stesso periodo nelle medie e grandi imprese è diminuito dell’1,8%. Ma i vincoli che frenano la corsa delle MPI e di conseguenza lo sviluppo del Sud continuano a essere tanti, troppi. Una soluzione, le imprese meridionali ora la attendono dal federalismo fiscale. Una sfida sulla quale sono pronte a scommettere. Questo il messaggio che Confartigianato ha lanciato a Napoli nell’annuale Convention dedicata al Mezzogiorno dal titolo “Mezzogiorno. Dall’intervento straordinario al federalismo: e se gli aiuti non esistessero?”. Nel corso di una tavola rotonda esponenti del Governo (Gianfranco Micciché), delle Regioni (Agazio Loiero, Raffaele Lombardo) e dell’opposizione (Sergio D’Antoni), si sono confrontati sul federalismo per chiarire in che misura esso rappresenti la soluzione ai problemi dello sviluppo delle MPI denunciati nel report di Confartigianato. Sullo sfondo il timore che il federalismo, anzichè contribuire a risolvere i problemi strutturali del Sud possa nascondere il tentativo di ‘sganciare’ il Meridione dal resto del Paese, lasciando sole le imprese in un momento in cui l’Italia nel suo insieme sconta un deficit di competitività nel contesto economico europeo e globale. In apertura dei lavori il Presidente di Confartigianato Giorgio Guerrrini così ha riassunto le attese delle imprese. “Vediamo nella riforma federalista una speranza di rimuovere incrostazioni che minano lo sviluppo e la crescita del Paese; apprezziamo il tentativo di avvicinare sempre di più il prelievo alla spesa con la possibilità, poi, di controllare le pubbliche amministrazioni e chi amministra i soldi delle imprese e dei cittadini. Oltre il 78% dei nostri associati vede la riforma con ottimismo”. “Vorremo – ha aggiunto Guerrini – che si andasse più sul concreto e si realizzasse una diminuzione della pressione fiscale. Se il federalismo non riesce ad abbassare la pressione è un’ulteriore occasione persa”. Una battuta, il Presidente di Confartigianato, l’ha riservata a quanti giudicano con sfavore le politiche federaliste: “Lo vedono come un pericolo quelli che hanno utilizzato i fondi pubblici a volte anche in maniera impropria e poco proficua per i territori. Ma le imprese piccole e medie e gli artigiani, che in questi anni non hanno mai avuto modo di accedere a particolari aiuti, né hanno avuto ammortizzatori sociali o paracadute e corsie privilegiate, lo vedono come occasione”. Cosa non dovrà essere il federalismo fiscale, l’ha detto nel suo intervento il Vice Presidente Confederale, delegato al Mezzogiorno, Francesco Sgherza. “Il federalismo fiscale non si deve in alcun modo trasformare in una occasione per accrescere la pressione fiscale sulle imprese, già ora attestata al 52% del fatturato di ciascuna azienda. Un secondo fattore è l’assoluta necessità che sia lo Stato a svolgere un ruolo di compensazione tra i territori che sono in grado di produrre un più elevato reddito pro capite e quelle regioni relativamente meno sviluppate, attraverso una perequazione orizzontale.” “È purtroppo realistico – riflette Sgherza – profetizzare che, al termine di questa vicenda, le regioni del Sud si troveranno con una diminuzione dei flussi di spesa, sia per i trasferimenti agli Enti locali, che per minori spese per servizi erogati direttamente dallo Stato: un flusso che, diciamolo chiaramente, nel recente passato, ha avuto il compito di sostenere una domanda interna e livelli di vita come quelli che siamo abituati a conoscere. Il venir meno di una parte di queste risorse non può che porre in primo piano, come strada obbligata, la necessità di sostenere la crescita delle attività produttive locali, affidando loro il compito di sostituire quelle quote di reddito complessivo che potrebbero venire meno”. “Mai come in questo caso – conclude Sgherza – lo slogan "quello che va bene per la piccola impresa (del Sud) va bene per il Mezzogiorno", deve servire come monito per guidare le scelte di politica economica, e le piccole imprese del Sud hanno bisogno di efficaci politiche di contesto che rendano più semplice e conveniente produrre ed operare nel proprio territorio”. Nel corso della tavola rotonda, la politica ha fornito la sua risposta alle domande sul federalismo fiscale delle imprese del Mezzogiorno rappresentate da Confartigianato. Molti i punti interrogativi e le questioni aperte. Il federalismo incassa il via libera delle imprese, mentre la politica resta sostanzialmente sul “chi vive”. Gianfranco Miccichè, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con delega al Cipe si è detto d’accordo con Confartigianato e quindi sull’ipotesi di abbassare la pressione fiscale. Ma Miccichè alle imprese lancia anche un monito: “Imparino a fare imprese e non a puntare solo sui contributi”. “Per le nostre regioni oltre al federalismo arriva anche la fine dei fondi strutturali, quindi le nostre regioni varranno quello che sapranno produrre. Non ci saranno più mammelle italiane, europee, da andare a succhiare nei prossimi anni. Nulla si può affrontare sperando in garanzie inutili dello Stato che non può più dare”. Sul federalismo, per come si sta prospettando, è critico il Presidente della Regione Calabria Agazio Loiero. Secondo Loiero si sta correndo troppo e la velocità impedisce di vederci chiaro. Il pericolo è che la distanza tra le regioni aumenti invece che diminuire: “Noi stiamo procedendo al varo di un federalismo fiscale senza aver prima fatto i conti, cioè avere la certezza di un’analisi economica-finanziaria sicura, di cui possiamo fidarci e questo ci dà inquietudine”. Loiero ha chiamato in causa la “grandissima fretta” con la quale si sta procedendo: “State attenti – ha aggiunto- il federalismo fiscale è destinato a mostrare le disparità che separano un territorio dall’altro, il fatto di volerci vedere un po’ più chiaro mi sembra un fatto minimo”. Critica anche la posizione di Sergio D’Antoni, deputato del PD e vice presidente della Commissione Finanze della Camera: “In teoria può essere un’occasione per responsabilizzare amministratori e cittadini, ma come è stato impostato è un grande rischio, una cambiale in bianco che io non firmerei. Se serve a trasferire ricchezza dai deboli ai forti, si fa un disastro universale. Per Raffaele Lombardo, Presidente della Regione Sicilia, il problema essenziale è che le regioni del Sud facciano quadrato. Tra i pericoli che si profilano all’orizzonte c’è, infatti, la perdita di rappresentatività a livello centrale. “Il federalismo ci costringerà ad essere più bravi, a riprendere a correre e riconquistare i primati perduti”. “Ci vuole unità” dice “difendere il territorio”. Ecco perché Lombardo anticipa la volontà di “incontrare tutti i deputati e senatori el
Nel Sud il 47,8% delle imprese ‘muore’ entro i 5 anni di vita. Confartigianato punta sul federalismo per creare sviluppo e liberare la voglia di fare impresa Alla Convention del Mezzogiorno presentato un Rapporto che fotografa i primati positivi e i record negativi delle regioni meridionali
Le piccole imprese meridionali scommettono sul federalismo per liberare il Mezzogiorno dai vincoli che ne soffocano lo sviluppo e che fanno ‘morire’ il 47,8% delle aziende entro i primi 5 anni di vita,‘bruciando’ così 10.521 posti di lavoro l’anno.Leggere di più
CONVENTION MEZZOGIORNO
Convention Mezzogiorno: Confartigianato punta sul federalismo per creare sviluppo e liberare la voglia di fare impresa