Summer School 2009, da Confartigianato le proposte per sostenere le imprese
“E’ necessario comprendere gli aspetti più significativi della crisi per riuscire a rappresentare al meglio gli artigiani e la micro e piccola impresa italiana. Per questo motivo - ha detto Cesare Fumagalli, Segretario generale di Confartigianato Imprese - questa Summer School ha avuto come filo conduttore la recente crisi economica e tutti gli aspetti in cui si è manifestata”. Tempi, aspetti e declinazioni di una crisi economico - finanziaria ancora in atto sono state al centro di una serrata due giorni di lavoro che ha coinvolto 230 dirigenti del Sistema Confartigianato. Un momento di confronto con importanti attori sociali, economici e politici del Paese per comprendere aspetti e caratteristiche della recessione. Per Cesare Fumagalli, la crisi economica che ha rotto gli argini della finanza di Wall Street travolgendo l’economia reale italiana ed europea ha messo in luce la “necessità di abbandonare determinati stereotipi”. Una necessità improcrastinabile per comprendere i nuovi scenari. “Bisogna abbandonare i vecchi stereotipi sotto due punti di vista, nella ritualità delle analisi e dei numeri statistici e nella capacità propositiva, maggiormente attiva e capace di offrire risposte immediate alle necessità della micro e piccola impresa italiana”. Nel mirino un nemico già individuato, “l’autoreferenzialità”. “Per vincere le sfide della crisi - ha continuato Fumagalli - dobbiamo riuscire a creare un rapporto più informato tra il nostro Sistema, la classe politica e le istituzioni su tutti i livelli”. Un rapporto che a livello nazionale, in occasione dei primi segnali della crisi, si è concretizzato con la presentazione “di 38 proposte organiche che non corressero dietro alle attualità del momento. Era il 17 marzo 2009, la recessione era nel pieno della sua esplosione e con quelle 38 proposte ci siamo rivolti prima al Parlamento e poi al Governo. Alcune di quelle proposte - ha spiegato il Segretario generale di Confartigianato, Cesare Fumagalli - hanno trovato accoglimento e sono diventate provvedimenti. Altre non sono state trasformate in leggi e norme, ma sono state comunque realizzate. Penso, ad esempio, all’intesa con l’ABI per la moratoria sul credito. Su altre proposte, infine, stiamo lavorando per vederle inserite nella prossima Finanziaria, che si preannuncia già più ricca di contenuti rispetto a quella passata”. Tra quelle 38 proposte rientravano anche due temi che stanno riempiendo le pagine politiche ed economiche dei quotidiani italiani, la norma per la tutela del Made in Italy e la legge annuale sulle micro e piccole imprese, lanciata da Confartigianato, rilanciata dallo Small Business Act comunitario ma ignorata, per adesso, dalla politica italiana. “Sono due campi aperti, particolarmente difficili da conquistare. Ci stiamo lavorando proprio in questi giorni sperando di riuscire a convincere anche la nostra classe politica ad abbandonare vecchie e datate convinzioni”, ha detto Cesare Fumagalli prima di passare in rassegna le principali proposte aggiornate all’evoluzione attuale. “Chiedevamo all’Autorità garante della Concorrenza e del mercato maggiore trasparenza nei rapporti con gli istituti bancari. I recenti accordi con Federcasse, UniCredit ed Intesa San Paolo, oltre a quello con l’Associazione della banche popolari su cui stiamo lavorando, vanno in questa direzione. Se la battaglia per la compensazione diretta tra crediti e debiti con la Pubblica amministrazione è stata la più classifica montagna che ha partorito il topolino - ha ammesso Fumagalli - grazie alle nostre pressioni siamo riusciti a sbloccare l’annosa vicenda del saldo della 488. Ad oggi, infatti, la quasi totalità delle pratiche sospese è stata esaurita”. In un momento tanto difficile per la liquidità delle imprese, sono molte le proposte presentate, e pronte per essere ripresentate, che intervengono sul settore creditizio. Una partita in cui sono rientrati anche i Confidi, dove “puntiamo ad un alleggerimento delle garanzie per i 107, nel quadro di una più generica semplificazione dei modi, delle pratiche e, di conseguenza, dei costi di gestione del Sistema dei Consorzi di garanzia”, ha aggiunto Fumagalli. Misure per incentivare la domanda, “con la riserva di appalti per le micro e piccole imprese”, e per alleggerire la pressione fiscale, “dove proporremo riduzioni e sgravi del costo del lavoro per chi crea occupazione, forti della parziale vittoria per la riduzione del saggio d’interesse dal 6 al 3”. Particolare la situazione della detassazione degli investimenti sui beni materiali, “dove la Tremonti Ter ha superato la nostra stessa ambizione a riguardo”. Di risultati positivi ce ne sono tanti in quelle 38 proposte, “la legge 99/2009 che mina la contraffazione, le misure per le reti d’impresa, i distretti e la ricerca nelle micro e piccole imprese”. Se la campagna per il Made in Italy è ancora da definire, con le potenti lobby italiane che sono riuscite a sferzare le norme contenute nella legge anticontraffazione, quella per il riequilibrio delle tariffe Inail pagate dagli artigiani è pronta per essere messa in campo, forti di un testimonial d’eccezione, il Presidente del Consiglio dei Ministri, Silvio Berlusconi, che in occasione dell’Assemblea annuale di Confartigianato Imprese ha definito questa vicenda come una “vergogna”. Tanti temi proposti e da riproporre in una stagione autunnale che minaccia di essere la resa dei conti della crisi. “Quest’inverno - ha spiegato il Segretario Fumagalli - leggeremo sui bilanci aziendali il peso della crisi. Per questo è importante slegare i lacci che legano e bloccano lo sviluppo ed il rilancio delle aziende. Da qui nasce la richiesta di ridurre i differenziali tra costi energetici delle imprese italiane e quelle europee, oltre a quelli tutti italiani tra grandi e piccole imprese. Per chiudere, tra le proposte presentate che sono state accolte e che sono in via di definizione ci sono le recenti approvazioni da parte del Consiglio dei Ministri del regolamento per il SUAP, lo Sportello Unico per le Attività Produttive, e per l’Agenzia per le Imprese, un soggetto - ha sottolineato - che nasce da una nostra proposta ai parlamentari italiani, cercando di sfruttare il loro legame con i territori. Con l’Agenzia - ha concluso Cesare Fumagalli - le associazioni di categoria avranno la possibilità di rilasciare titoli autorizzativi all’inizio dell’attività. L’Agenzia per le Imprese, insieme alla legge annuale sulle Pmi, sono passaggi fondamentali di un altrettanto fondamentale progetto: l’attuazione, in Italia, dello Small Business Act”.
Studi di settore, realtà o visione distorta della realtà?
A dieci anni dalla loro introduzione fanno ancora discutere. Tra chi fa impresa, ma non solo, c’è chi sostiene che la realtà economica da essi descritta è imprecisa e distorta, giungendo alla conclusione che sarebbe meglio buttarli a mare. Visione opposta è quella di chi li ha pensati e ne ha accompagnato la crescita che li difende strenuamente sostenendo che sono uno strumento che offre equità e trasparenza nel rapporto tra fisco e imprese. E poi, rimarcano ancora questi ultimi, visti i numeri in gioco (oltre quattro milioni di contribuenti) occorrono sì strumenti di analisi raffinati, ma comunque di massa. A dieci anni dalla loro applicazione, e a un anno dall’inizio della crisi planetaria che ha colpito anche l’Italia, il Presidente della SoSe (Società per gli Studi di Settore) Giampiero Brunello ha tracciato un primo bilancio degli Studi di settore. Sullo sfondo la domanda: sono ancora utili? Non è la prima volta che la Summer School di Confartigianato si occupa di Studi di Settore. Per la precisione è la terza: un’attenzione necessaria vista la centralità dell’argomento nella vita delle imprese e nell’attività Confederale. I numeri presentati dal Presidente della SoSe indicano che dal 1998, primo anno di applicazione degli Studi, è in atto una progressiva e graduale emersione di base imponibile (variabile tra i diversi settori economici). Tra il 1995 e il 2007 la SoSe ha stimato che il volume di affari verosimilmente non dichiarati di alcuni settori rappresentativi del comparto del commercio e dei servizi è sceso dal 42,5% al 14,9%. Tradotto in cifre, milioni di euro. Eppure il “mercato – ha osservato Brunello – non è stato sconvolto” dalla velocità con cui si è invertita la curva dell’evasione fiscale: la filosofia che sottende allo strumento è proprio quella, infatti, di salvaguardare il “rispetto del principio di equità e di capacità contributiva”. Tradotto in soldoni, di far pagare a tutti il giusto, niente di più. Lo strumento, ha poi sottolineato Giampiero Brunello, concorrendo all’emersione di quote rilevati di economia sommersa, ha posto un argine ad una distorsione del nostro mercato che frena la libera concorrenza tra i vari soggetti economici che operano nel Paese. “Tra i vari obiettivi che ci si è posti di raggiungere attraverso gli Studi, c’è quello di evitare l’impiego del risparmio fiscale (Ndr.: leggi ‘evasione’) per fare leva sul mercato”. Un esempio: “Abbiamo stimato che il livello della pressione fiscale e contributiva, con riferimento al 2006, per i soggetti non cogrui o normali è stata di circa il 33,3%, mentre per quelli congrui e normali del 47,8%. Una differenza che “fa la differenza” in termini competitivi. Ci sono diversità ancora troppo grandi nelle dichiarazioni tra chi è congruo e chi non si dichiara tale”. Il dialogo con le Associazioni di Categoria, la ‘compliance’, resta essenziale per migliorare i dettagli della fotografia scattata dagli Studi. Lo si è visto in particolare nell’attuale fase di crisi economica. “In pochi mesi abbiamo ottenuto grandi risultati. Abbiamo esaminato una grande quantità di dati delle Associazioni, Inail, Inps, Istat e su questa base abbiamo fatto degli interventi correttivi che hanno riguardato oltre due milioni di contribuenti”. In conclusione di intervento, il Presidente della SoSe ha invitato a “pensarci bene prima di proporre di gettare via lo strumento”, con riferimento alla proposta che da più parti periodicamente riemerge. “Altre soluzioni – ha proseguito - rischiano di parlare un linguaggio diverso da quello delle imprese”. Ma i risultati positivi per fare emergere l’economia in nero, non sono stati ottenuti solo grazie all’applicazione degli Studi. Senza la macchina dei controlli, infatti, buona parte degli sforzi sarebbero risultati vani. Controlli di nuova generazione. Da esperire “in modo giusto, ragionevole, equilibrato”. Lo ha detto Luigi Magistro, Direttore Centrale Accertamento dell’Agenzia delle Entrate, presentando alla Summer School le nuove strategie dell’attività di controllo. Il principio generale di quello che si annuncia come un nuovo corso è semplice ma allo stesso tempo rivoluzionario, almeno per il nostro Paese: “i controlli devono riguardare tutti e non solo alcuni”. Devono riguardare le grandi imprese (su cui quest’anno l’Agenzia ha concentrato l’attenzione), le piccole imprese (finalizzati alla prevenzione: “meglio prevenire che curare” ha spiegato Magistro), e tutti quei soggetti che hanno un tenore di vita non in linea con le dichiarazioni reddituali (per questi viene rispolverato il redditometro). “In un Paese civile non è possibile denunciare determinate posizioni reddituali. Non è possibile vista l’efficacia della macchina del Fisco. Non servono nuove leggi, comunicazioni, altra burocrazia. Abbiamo dati in abbondanza da usare nel modo giusto”. “Compliance” è la parola d’ordine del Direttore dell’Accertamento delle Entrate nei rapporti con le Associazioni (“che devono aiutarci a capire, a non sbagliare”), e dei soggetti economici (“il male si chiama ‘evasione’. Negli ultimi anni la situazione è migliorata, ma la nostra azione è mirata a far crescere spontaneamente i numeri. Vogliamo far capire che l’attività di controllo c’è e che è che meglio cambiare atteggiamento”). Gli Studi di Settore, per Magistro, rappresentano una “bussola” nell’attività di controllo, “ci danno l’orientamento, le probabilità. Ma danno solo un primo quadro che va completato con ulteriori elementi, con ulteriori analisi. L‘applicazione degli Sudi di settore automatica e acritica non va bene”. Questo avviene in Italia. Ma all’estero? Poniamo in Francia, quali sono gli strumenti di equità fiscale utilizzati? Esistono gli Studi di Settore? E i controlli su quali soggetti si concentrano? A queste domande ha risposto l’Attachée Fiscale presso l’Ambasciata di Francia in Italia, Anne-Claire Jarry-Bouabid, ospite della Summer School. La diplomatica ha subito messo le mani avanti, sottolineando che la struttura economica dei due Paesi è difficilmente confrontabile: “In Francia il numero di piccole imprese è di gran lunga inferiore a quello italiano, perciò non c’è niente di strano se storicamente i controlli da noi si concentrano nelle grandi imprese”. Poco significative le differenze nella macchina delle verifiche, affidata alla Direzione Generale Finanze Pubbliche, alle Dogane e ad una struttura simile per competenze all’Inps. Almeno nominalmente non esistono gli Studi di settore, anche se in pratica c’è uno strumento analogo: “Abbiamo delle schede tecniche per i settori economici e un software per la verifica della congruità. I risultati non costituiscono una prova, ma servono per orientare i controlli”. Il redditometro esiste, “ma non lo utilizziamo molto, preferiamo i controlli in azienda e il dialogo con i contribuenti”. In sostanza in Francia i metodi presuntivi o deduttivi automatici sono quasi assenti. Unica eccezione il calcolo dei redditi presunti, quando la contabilità di un’impresa non è disponibile. “Ma è di difficile utilizzazione” spiega Anne-Claire Jarry-Bouabid. A differenza dell’Italia i controllori non si annunciano al contribuente suonando il campanello, ma sono tenuti a inviare con 15 giorni di anticipo un avviso. Le differenze sono anche altre, ma una in particolare ha suscitato mormorii in platea. Per creare un’impresa è sufficiente recarsi presso la Camera di Commercio o dell’Artigianato. “Qui viene attribuito un numero identificativo della società, che non è un codice fiscale perché non c’è un anagrafe tributaria. Poi un’iniziativa che stiamo lanciando. Attraverso un sito Web, dipendenti, pensionati, e chi ha un’idea da sviluppare può creare un’impresa in 15 minuti”. La tassazione? “13% per ricavi fino a 80.000 euro”.
Crisi e credito bancario, le imprese alla ricerca di liquidità
Credito, crisi economica e ruolo delle organizzazioni di rappresentanza nel travagliato rapporto tra banche e piccole imprese. Questo il filo conduttore del confronto tra Alessandro Profumo, Amministratore delegato di UniCredit Group, Alessandro Azzi, Presidente di Federcasse, e Franco Masera, Managing partner di KPMG Advisory. Una tavola rotonda organizzata per andare dritti al cuore di una stretta creditizia che rischia di bloccare gli ingranaggi del più potente motore di sviluppo economico e produttivo del Paese, l’artigianato e la micro e piccola impresa. Un confronto per capire le dinamiche generali del sistema bancario italiano e dei suoi soggetti più rappresentativi, un big player del calibro di UniCredit e le centinaia di banche di credito cooperativo che da sempre sostengono il fare impresa sul territorio italiano. Il sistema dei Consorzi di garanzia fidi, l’opportunità di rivedere gli accordi di Basilea 2, diventati impermeabili con la stretta creditizia, e l’immediato futuro economico italiano sono stati l’oggetto del confronto tra i dirigenti del Sistema Confartigianato e le due più rappresentative identità bancarie del Paese. Senza tralasciare i temi di maggiore attualità sulla scena economico-politica italiana. Alessandro Profumo, amministratore delegato del colosso finanziario di piazza Cordusio, ha scelto la Summer School di Confartigianato per rispondere ai recenti attacchi del Ministro dell’Economia e delle finanze, Giulio Tremonti, agli istituti bancari. “Le banche - aveva dichiarato il titolare di Via XX Settembre - non comandino sui governi. Non ha senso che gli istituti bancari siano più grandi dei governi stessi. Quando hanno problemi, poi, questi diventano anche problemi dei governi. Le banche devono essere al servizio della gente, non la gente al servizio delle banche”. Micro e piccole imprese comprese. Davanti a chi rappresenta le Pmi italiane, Profumo ha precisato che “da noi la politica non entra in banca. Le nostre scelte cercano sempre di essere orientate alla gestione e a fare impresa. Lascerei la componente politica per entrare in quella dimensionale: il tema sollevato dal ministro Tremonti è corretto. Abbiamo visto in Svizzera e Olanda che la dimensione delle banche era tale, rispetto al Pil nazionale, da generare tensioni. Il nostro sistema bancario, grazie all’evoluzione degli ultimi anni, è diventato molto più solido e stabile”, ha aggiunto Profumo. Niente polemiche, quindi. Le banche sanno cosa devono fare e lo fanno. “A fine agosto - ha risposto l’amministratore delegato di UniCredit Group a chi accusava le banche di aver bloccato i flussi creditizi verso le imprese - su un totale di 7 miliardi di euro, i nuovi fidi o gli aumenti di fidi sono stati pari a 2,3 miliardi. E’ quindi sbagliato dire che non eroghiamo. Come è falso sostenere che non c’è stato alcun vantaggio per i nostri clienti. Negli ultimi dieci anni - ha rilanciato Alessandro Profumo - il nostro margine è passato, in proporzione, da 100 a 35. Questo vuol dire che il sistema bancario ha lasciato ai propri clienti il 65% dei margini. Poche altre industrie hanno fatto lo stesso”. Un ultimo attacco, Profumo, l’ha riservato a Basilea 2, un set di parametri bancari che non hanno mai convinto i piccoli imprenditori italiani, abituati a parlare con la propria banca, non ad essere catalogati e gestiti come un’immensa biblioteca di numeri seriali. “Bisogna smitizzare Basilea 2 - ha detto senza mezzi termini l’ad di UniCredit Group - Il 60% della valutazione di un cliente viene eseguita su parametri soft, comportamentali e non legati al bilancio aziendale dei correntisti. La chiave di successo per una banca era ed è la prossimità con il cliente”. Vicinanza e conoscenza che nel mondo produttivo italiano si chiamano Confidi, una fitta rete di Consorzi di garanzia creditizia legata a doppia mandata ai territori. Quegli stessi Confidi che Franco Masera di KPMG Advisory ha definito “un ottimo strumento di mediazione, comunicazione e personalizzazione del credito alle imprese italiane”. Con l’introduzione dei parametri di Basilea 2, però, “i Confidi 107, quelli con una maggiore attività finanziaria e maggiori mezzi patrimoniali, rischiano di minare la forza capillare dei Confidi”. I Confidi sono tornati al centro del dibattito quando, durante il giro di domande agli ospiti, c’è stato chi ha chiesto spiegazioni sulla tendenza bancaria a preferire proprio i Consorzi articolo 107 ai 106. La risposta, secondo Alessandro Azzi, Presidente di Federcasse, sta “nella maggiore portata economica e finanziaria dei primi, capaci di garantire in maniera più efficace maggiori finanziamenti rispetto agli altri”. Presente e futuro dell’economia e del sistema bancario si sono alternati nel corso del dibattito. Per il futuro, stando alle dichiarazioni di Alessandro Azzi, la novità più importante e prossima è “l’adesione al progetto della Banca del Mezzogiorno da parte delle Bcc italiane, che possono offrire nuove opportunità alle imprese in termini di finanza agevolata, scouting di nuove imprese e facilitazione del lavoro dei Confidi. Il nostro progetto, che dovrebbe essere pronto a breve, coinvolgerà le Organizzazioni di rappresentanza delle imprese italiane, fondamentali – ha concluso Azzi - per riuscire in un progetto tanto ambizioso”.
Summer School 2009, la rappresentanza ai tempi della crisi
La crisi rappresenta un punto di rottura con il passato, un’inversione di tendenza nelle consuetudini sociali e nelle prassi economiche valide fino a quel momento. In uno scenario simile, non mancano opportunità e possibilità per chi ha testato la tenuta del proprio modello imprenditoriale. Da questa convinzione è partito il confronto tra governo, opinione pubblica e mondo imprenditoriale italiano all’indomani di una crisi economica e finanziaria che ha dimostrato, senza possibilità di replica, la necessità di trovare “il coraggio per riformare quegli schemi che fanno la fortuna di poche ed esclusive minoranze”, come ha sottolineato il Presidente di Confartigianato Imprese, Giorgio Guerrini. Summer School 2009, tavola rotonda sulla rappresentanza e sulle dinamiche socio-economiche del nostro Paese. Sul palco della Sala convegni dell’ATA Hotel Villa Pamphili di Roma sono intervenuti Luigi Mastrobuono, Capo di gabinetto del Ministero dello Sviluppo economico, Dario Di Vico, editorialista di quel Corriere della Sera che ha abbracciato la causa delle Pmi con un’inedita passione, e Giorgio Guerrini, Presidente di Confartigianato Imprese, la più rappresentativa Organizzazione italiana dell’artigianato e della micro e piccola impresa. Quando il picco massimo della crisi sembra ormai alle spalle, “la sensazione ed i numeri statici dimostrano che la recessione ha colpito maggiormente alcuni settori produttivi, su tutti il manifatturiero. E’ un momento di difficoltà che dura da tempo, che non è ancora concluso e che si è abbattuto principalmente sul Made in Italy, quello che vive di export”. L’analisi di Giorgio Guerrini parte da queste considerazioni. “L’artigianato ha sofferto e continua a farlo, ma la crisi ne ha evidenziato anche la capacità di tenuta. Nonostante la netta contrazione del fatturato e del Pil nazionale - ha continuato - non c’è stata un’altrettanto drastica diminuzione del numero delle imprese e degli addetti occupati. In uno scenario simile, però, noi che veniamo dalla cultura del fare non abbiamo visto una relazione tra ciò che è stato detto e ciò che è stato realmente fatto per liberare l’Italia dai vincoli che ne bloccano lo sviluppo. A cominciare dalle liberalizzazioni, che hanno portato risultati apprezzabili soltanto in pochi e marginali settori della nostra economia”, ha denunciato il Presidente Giorgio Guerrini. Citando le tesi della più recente enciclica di Papa Benedetto XVI, “Caritas in Veritate”, Guerrini ha sottolineato la necessità di “porre il bene comune come obiettivo dell’azione politica”. “In Italia, il bene comune non è l’industria - ha rilanciato Dario Di Vico, analista del più autorevole quotidiano italiano, il Corriere della Sera - e la crisi ha dimostrato l’assoluta autoreferenzialità dell’industria nazionale. Il progresso e la modernità venivano generalmente accostati alla grande produzione industriale. La crisi, invece, ha dimostrato che questo schema culturale va cambiato. L’industria ha dimostrato la propria autoreferenzialità, il terziario ha dimostrato di essere un secondo bluff. Soltanto la micro e piccola impresa - ha aggiunto Di Vico - ha dimostrato di essere reale, di essere carne ed ossa dell’economia italiana. La rappresentanza delle Pmi deve riuscire a tesaurizzare ciò che la crisi ha evidenziato. Personalmente - ha concluso l’editorialista del Corriere della Sera - vedrei bene la nascita di un soggetto unico di rappresentanza dei piccoli imprenditori italiani. L’importante – ha aggiunto - è non commettere lo stesso errore commesso dai tre sindacati dei lavoratori, che hanno sacrificato la rappresentanza a favore del potere”. Di rottura con il passato, cogliendo le opportunità offerte dalla crisi finanziaria, ha parlato anche Luigi Mastrobuono, Capo di gabinetto del Ministero dello Sviluppo economico. Nessun dubbio, nessuna indecisione per il collaboratore del ministro Scajola, “la crisi ci impone di cambiare determinate logiche operative. La forza e l’incisività della rappresentanza della micro e piccola impresa – ha spiegato il dirigente ministeriale - passa per le reti d’impresa e per il legame con i territori, per la capacità aggregativa delle imprese. E’ opportuno coltivare una cultura di orientamento all’internazionalizzazione. Un obiettivo a cui devono mirare anche le Camere di Commercio, giunte ormai alla conclusione di un lungo periodo di prova dopo la riforma avviata più di dieci anni fa. Non voglio giudicare l’operato delle CCIAA, ma sono convinto che queste possano fare di più e meglio rispetto ad oggi”. Innovazione e cambiamento che Mastrobuono pensa essere introdotti anche nella mappatura della rappresentanza della micro e piccola impresa italiana, con un esplicito riferimento al “patto del Capranica”, stretto dalle cinque Organizzazioni dell’artigianato e del commercio, Confartigianato, CNA, Casartigiani, Confcommercio e Confesercenti. “Credo sia giunto il momento di pensare ad iniziative profondamente innovative, che rompano in maniera decisa con il passato. Non credo alle alleanze tra le Organizzazioni di rappresentanza. Sarebbe opportuno, piuttosto, arrivare ad un soggetto unico di rappresentanza della piccola imprenditoria italiana”. Tesi condivisa anche dal Presidente di Confartigianato Imprese, Giorgio Guerrini, secondo cui “è giunto il momento per pensare ad un soggetto unico capace di muoversi in maniera rapida e decisa, univoca ed efficace, pronto a rappresentare gli interessi di una categoria” che ha saputo reggere l’urto di una crisi economico-finanziaria che ha invece fatto tabula rasa di altri settori produttivi.
DA INTESA SANPAOLO 3 MILIARDI PER RILANCIARE LE IMPRESE ARTIGIANE ACCORDO CON CONFARTIGIANATO, CNA, CASARTIGIANI
Roma, 14 settembre 2009 – Intesa Sanpaolo e Confartigianato, CNA, Casartigiani hanno firmato un accordo che prevede la messa a disposizione da parte del Gruppo Leggere di più