L’alluvione in Veneto mette in ginocchio uno dei principali distretti produttivi del Paese
Vicenza, Padova, Verona. Cambiano le province, non gli scenari. Un’immensa lastra di fango e acqua piovana che ha trasformato uno dei principali motori economici del Paese in una laguna fatta di speranze svanite e di economie annacquate. Il Veneto è in ginocchio, sommerso dalle piogge torrenziali che nella notte del primo novembre hanno fatto straripare i fiumi che bagnano le province di uno dei principali distretti produttivi italiani. Fino a quando l’acqua non sarà tornata fra gli argini che hanno ceduto, difficilmente si potrà fare la conta dei danni. Il governatore Zaia ha detto un miliardo di euro. Gli ottimisti dicono meno, i pessimisti di più. E mentre il Governo ha promesso lo stanziamento immediato di 300 milioni di euro, e la sospensione dei mutui per imprese e cittadini, Confartigianato ha messo in campo una gamma di iniziative per rilanciare immediatamente l’economia locale, a cominciare da un quadro di interventi a livello regionale. “A livello regionale si è già dato attuazione con l’ente bilaterale alla disponibilità di un milione di euro da erogare immediatamente su autocertificazione delle imprese coinvolte - ha detto Claudio Miotto, presidente di Confartigianato Veneto e vicepresidente nazionale di Confartigianato - Inoltre, abbiamo avuto dalla Regione la conferma per la cassa integrazione in deroga anche per le imprese che l’avessero già esaurita. Altri due interventi attuati da Confartigianato riguardano il credito, con l’erogazione di nuove linee finanziarie per coprire le garanzie delle imprese, ed il fisco, dove abbiamo già incontrato l’Agenzia delle entrate per le prossime scadenze e per la taratura degli studi di settore ai disagi creati da questa alluvione”. Una cornice di iniziative a cui vanno sommate quelle adottate direttamente dalle Associazioni, come fatto, ad esempio, dall’Associazione di Vicenza, che ha stretto “una convenzione con un gruppo tecnici per la corretta compilazione delle domande di contributi delle imprese coinvolte - ha spiegato Giuseppe Sbalchiero, presidente di Confartigianato Vicenza - La nostra disponibilità si estende, oltre che alle imprese associate, anche a tutti i cittadini che ne avessero bisogno”. Dalle istituzioni, il Veneto si aspetta interventi immediati. Questo spicchio d’Italia, infatti, rappresenta la culla della micro e piccola impresa, la spina dorsale dell’economia italiana. Qualsiasi intervento, quindi, deve essere immediato, concreto, efficace. “In questi giorni abbiamo ricevuto le visite del Presidente della Repubblica e del Presidente del Consiglio, ma qui abbiamo bisogno dei fatti e non delle parole. A questa gente manca tutto, il cibo, i vestiti, tutto quanto”, ha raccontato Ferdinando Albini, presidente di Confartigianato Verona. La situazione per artigiani e piccoli imprenditori è davvero difficile. Ad una massiccia e diffusa crisi economica, infatti, vanno ora aggiunti i danni di macchinari da buttare, di ambienti allagati e di risposte da offrire ai propri dipendenti. Un esempio arriva da Padova. “Giusto ieri sera - ha raccontato Roberto Boschetto, presidente di Confartigianato Padova - un artigiano mi diceva che aveva una commessa in consegna, concordata a prezzi estremamente convenienti, che non potrà più consegnare, perdendo così in un colpo solo un lavoro ed un cliente”. Anche per questi motivi, intervenire in Veneto non vuol dire aiutare una popolazione in difficoltà. Intervenire in Veneto, oggi, significa investire nel futuro economico e produttivo del Paese.
Capitali in fuga, l’Italia non è un paese per imprenditori
Fiat, Ikea e Ryanair sono soltanto tre esempi delle tante multinazionali che periodicamente minacciano di lasciare l’Italia, un paese poco appetibile per gli investimenti, dove è sempre più difficile fare impresa, anche disponendo di ingenti capitali. E così, le micro e piccole imprese artigiane scoprono di avere testimonial inaspettati per le proprie battaglie. Un paradosso tutto italiano, dove multinazionali, grandi e piccole realtà produttive si ritrovano una fianco all’altra per chiedere un paese a misura di imprese. Gli ultimi giorni sono stati un continuo susseguirsi di denunce. Alle ormai note dichiarazioni di Marchionne e del numero uno di Ryanair, la più importante compagnia low cost d’Europa, si è aggiunto l’amministratore delegato di Ikea Italia, che ha minacciato di ritirarsi dal mercato italiano se la situazione non dovesse migliorare. Troppi ostacoli burocratici, troppi gli intoppi creati dagli enti locali. Se in Europa si impiegano in media quattro anni per aprire un punto vendita, in Italia occorre anche il doppio del tempo. Al colosso svedese, ha fatto eco la Banca mondiale, che ha consegnato all’Italia la maglia nera del paese europeo con il più alto prelievo fiscale sulle imprese. Una volta tanto primi in Europa, direbbe qualche cinico, alla faccia della competitività delle nostre imprese, dell’attrattività del nostro paese e di un mercato del lavoro alla disperata ricerca di occupazione. Una situazione drammatica, che le piccole imprese e Confartigianato denunciano da tempo. L’ufficio studi ha calcolato che un’impresa artigiana impiega 334 ore per tutti gli adempimenti fiscali e burocratici, pari a 42 giorni lavorativi all’anno. Troppo per chi non può disporre degli aiuti concessi alla grande industria. Il Belpaese non riesce più a sostenere le proprie imprese, né tantomeno ad attrarre investimenti esteri. La conferma arriva dall’ICE, l’Istituto per il commercio estero, che nei giorni scorsi ha diffuso un rapporto che vede l’Italia ancora una volta all’ultimo posto tra i paesi dell’eurozona in grado di attrarre capitali. Una tesi confermata e rilanciata anche della Conferenza delle Nazioni unite sul commercio e lo sviluppo. Tra il 2007 ed il 2008, gli investimenti diretti in Italia sono crollati del 57%, facendo scivolare il nostro paese alle spalle di Messico, Nigeria e Turchia. Le cause sono una filastrocca fin troppo nota alle orecchie degli artigiani. Corruzione, scarsa flessibilità del mercato del lavoro, infrastrutture insufficienti, eccessiva pressione fiscale per imprese e lavoratori. Problematiche che Confartigianato denuncia da anni, ma che oggi tengono lontane dal nostro paese quasi la metà delle multinazionali attive nel resto d’Europa. Oltre ad opprimere e soffocare tutte le micro e piccole imprese italiane. Alla faccia della libera impresa in un libero stato.
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La Cassazione allarga i confini alle ‘auto bianche’
Non rischia più sanzioni amministrative il tassista che, ricevuta la chiamata di un cliente nel comune che ha rilasciato la licenza, lo va a prelevare in un altro comune. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con una sentenza che mette la parola fine alla pretesa delle amministrazioni locali di riservare il territorio di competenza esclusivamente alle proprie ‘auto bianche’; una sentenza che apre la strada a una reale possibilità di concorrenza tra gli operatori del settore. <i>"E’ stato sancito un principio fondamentale </i>- spiega il Presidente di Confartigianato Taxi, Fabio Parigi -, <i>cioè la possibilità di poter prelevare gli utenti non solo nel comune di appartenenza, ma anche fuori comune. I vantaggi sono molteplici, principalmente per i consumatori che potranno contare su un servizio capillare mirato alle proprie esigenze, avvalendosi di cooperative, consorzi oppure di un tassista di fiducia”.</i> I fatti alla base della decisione dei giudici della Corte Suprema risalgono al 2004, quando i vigili urbani di Bari multarono un tassista tarantino per aver prelevato all’aeroporto del capoluogo, dunque fuori distretto, un cliente che aveva richiesto la corsa con una telefonata. Insieme alla sanzione, per il tassista scattò anche il sequestro del mezzo. Il giudice di pace prima e la Cassazione poi, hanno dato ragione all’autista. In particolare i giudici di Piazza Cavour hanno spiegato che lo sconfinamento non è sanzionabile quando avviene in risposta a una chiamata del cliente, chiarendo inoltre che l’inizio del servizio coincide con la messa a disposizione del taxi. La sentenza degli ermellini poggia sull’interpretazione della legge quadro di settore e in particolare chiarisce il significato di una congiunzione presente nel testo normativo, un semplice ‘ovvero’ che per 20 anni ha tenuto in scacco la categoria. <i>“L’interpretazione che è stata data finora della legge </i>– sottolinea Pargigi - <i>era chiaramente penalizzante per i consumatori e per la categoria. Un’interpretazione sbagliata che costringeva il tassista a operare solo nel comune in cui veniva rilasciata la licenza, con una difficoltà enorme di risposta alle necessità della clientela”. </i>
Verso la conferma nel 2011 dell’ecobonus per lavori di riqualificazione energetica
Imprese edili, impiantisti, installatori d’infissi, falegnami, possono tirare un sospiro di sollievo. E, insieme a loro, anche tutti i cittadini che vogliono ristrutturare casa all’insegna dell’innovazione, rispettando l’ambiente e risparmiando denaro. L’ecobonus del 55% sulle spese per interventi di riqualificazione energetica degli edifici e delle abitazioni ha trovato posto nella legge di stabilità in questi giorni all’esame della Camera. Un recupero in extremis di una misura che sembrava destinata a non essere prorogata. Ma la forte pressione esercitata da Confartigianato e da tutto il mondo imprenditoriale ha convinto il Governo che, pur confermando l’agevolazione anche per il 2011, ne ha però diluito in 10 anni anziché in 5 anni come avviene ora. Manca soltanto il sì del Senato e poi via libera a interventi essenziali per la tutela dell’ambiente, per sostenere l’economia e l’occupazione, per combattere il sommerso. Le cifre sono di tutto rispetto: in tempi di crisi, l’ecobonus vale il lavoro di almeno 50.000 persone l’anno, è fondamentale per la tenuta di oltre 400mila imprese e per rilanciare le costruzioni come moltiplicatore della domanda interna. L’efficacia delle detrazioni del 55% è dimostrata dai risultati ottenuti negli ultimi 3 anni: 850.000 interventi di riqualificazione effettuati per un valore di 11 miliardi. 6.500 GWh l’anno di energia risparmiata. Dunque risparmio assicurato per i cittadini, più lavoro per le imprese del sistema casa e per quelle impegnate nel settore della green economy, ma anche maggiore gettito per l’Erario. L’ecobonus si ripaga da sé: le risorse investite dallo Stato vengono ampiamente compensate dalle maggiori entrate derivanti dall’utilizzo delle detrazioni. Nel 2009 sono stati oltre 10 miliardi i benefici da gettito fiscale aggiuntivo. Insomma non manca nulla perché l’ecobonus sia reso permanente, come da tempo chiede Confartigianato, sottraendolo alle incertezze delle proroghe di anno in anno.