MEDIA - La crisi demografica italiana: giovani e qualità del lavoro. Il nuovo ‘quaderno’ della Fondazione Germozzi
La demografia è un problema prima di tutto economico. E’ stato molto chiaro, su questo punto, il direttore generale del Censis Massimiliano Valerii durante l’assemblea annuale di Confartigianato. Un concetto, quello del saldo demografico, sul quale anche il presidente di Confartigianato Marco Granelli ha riflettuto a lungo e che sta interrogando molti esperti della materia. D’altra parte, se già il nostro sistema economico sconta alcuni gap di competitività rispetto ad altri europei ed extraeuropei, quello della demografia rischia di essere un ulteriore fattore di squilibrio negativo. Ma il problema è molto più profondo e di non facile risoluzione. Di più: non riguarda solo il mondo delle imprese, ma è un problema che attiene alla tenuta strutturale del nostro Paese. Un’Italia sempre più vecchia, fragile.
Di questo e molto altro si è occupato Alessandro Rosina, docente di Demografia e Statistica sociale all’Università Cattolica di Milano in molti dei suoi lavori. Alessandro Rosina è l'autore del nuovo ‘quaderno’ tematico della Fondazione dal titolo ‘La crisi demografica italiana: giovani e qualità del lavoro - Idee, spunti, dati e scenari per affrontare gli squilibri che rischiano di compromettere lo sviluppo economico e la sostenibilità sociale del Paese’ (scarica il volume).
Gli studi compiuti da Rosina forniscono una proiezione, a tratti, piuttosto allarmante del problema demografico in Italia. Forse, però, la cosa più desolante è che a fronte di questo scoglio che sta via via diventando sempre più insormontabile, in questi anni abbiamo assistito a una sorta di grande rimozione collettiva. Come se il problema non ci riguardasse. Se a questo aggiungiamo che le politiche messe in campo per fronteggiare la questione demografica si sono rivelate del tutto inefficaci, ecco che il quadro appare ancor più a tinte fosche. La sfida dell’inversione del trend è attuale, attualissima. Una sfida per il futuro.
Spiega Rosina, intervistato da Federico Di Bisceglie per Spirito artigiano: "E’ senz’altro la grande questione rimossa del nostro paese. Non mancano i titoli di forte preoccupazione sui media quando escono i dati Istat sulle nascite in continua riduzione, ma dal giorno dopo il tema scivola sistematicamente ai margini del dibattito pubblico. La politica italiana tende ad avere uno sguardo corto, che fatica ad andar oltre il consenso da ottenere nelle prossime elezioni. La combinazione tra poca lungimiranza, bassa consapevolezza delle conseguenze della denatalità, marginalità delle politiche per i giovani e le donne, ha portato gli squilibri demografici a diventare sempre più gravi generando un senso di impotenza verso un destino ineluttabile. Anziché produrre una reazione si è via via scivolati verso la rassegnazione. Ci siamo permessi di sottovalutare questa enorme questione perché il centro della vita attiva è stato, fino a qualche anno fa, presidiato da generazioni molto consistenti. In particolare i nati attorno a metà anni Sessanta (all’apice del baby boom) avevano 35 anni nel 2000, 45 nel 2010 e 55 nel 2020. Gli effetti della denatalità sull’economia e sulla sostenibilità del sistema di welfare cominciano a prodursi ora con l’entrata nelle età lavorative dei nati dalla seconda metà degli anni Ottanta in poi, quasi dimezzati rispetto alla generazione dei propri genitori. Non è più solo questione di conti pubblici, ma anche di squilibri che investono il mercato del lavoro". (Leggi l'intervista completa su Spirito artigiano)
Scarica il QFG ‘La crisi demografica italiana: giovani e qualità del lavoro' di Alessandro Rosina
STUDI – Costo credito: nel 2022 +170 punti tassi, con effetti negativi su investimenti, produttività e transizione green
L’inasprimento delle condizioni di politica monetaria per combattere l’inflazione sta determinando un rialzo del costo del credito alle imprese che - comprimendo la creazione di valore aggiunto - ha pesanti ricadute recessive sull’economia.
Nonostante il raffreddamento autunnale dei prezzi di petrolio e gas naturale, persiste sull’economia dell’Eurozona un alto tasso di inflazione, che a dicembre è al 9,2% (era 10,1% a novembre). In conseguenza di una maggiore spinta dei prezzi dell’energia, l’inflazione in Italia rimane in doppia cifra collocandosi al 12,3% (era 12,6% a novembre), mentre negli Stati Uniti la crescita dei prezzi al consumo rallenta al 6,5% (era 7,1% a novembre).
Per contrastare l’inflazione, la Bce ha deciso una vigorosa stretta monetaria, aumentando i tassi di interesse di riferimento di 250 punti base tra luglio e dicembre. La Bce ha preannunciato prossimi ulteriori aumenti dei tassi «in misura significativa a un ritmo costante per raggiungere livelli sufficientemente restrittivi da assicurare un ritorno tempestivo dell’inflazione all’obiettivo del 2% nel medio termine». Nella storia dell’euro non hanno precedenti l’intensità della stretta monetaria e la crescita dei prezzi attualmente in corso.
L’analisi delle ultime evidenze sul mercato del credito pubblicate da Banca d’Italia sottolinea la trasmissione della politica monetaria restrittiva sul costo dei prestiti per il sistema produttivo, che amplifica gli straordinari effetti della crisi energetica e caro bollette sui bilanci aziendali.
A novembre 2022 il tasso sui prestiti alle imprese per nuove operazioni con importo fino 1 milione è salito al 3,37% con un aumento di 170 punti base rispetto ad un anno prima, raggiungendo un livello che non si registrava da otto anni (novembre 2014). Solo a gennaio 2012, nel pieno della crisi del debito sovrano, con lo spread BTP-Bund a oltre 400 punti base, si registrò una crescita dei tassi sui prestiti più intensa (+176 punti base) di quella in corso.
Il tasso medio sulle consistenze dei prestiti alla imprese (società non finanziarie) in conto corrente arriva al 3,34%, salendo di 112 punti base nell’arco di dodici mesi.
Un approfondimento sul mercato del credito delle imprese nel report dell’Ufficio Studi ‘Finanza d’impresa, tra crisi energetica e stretta monetaria’. Qui per scaricarlo.
L’accentuata crescita dei tassi in corso potrebbe determinare una pesante frenata dell’economia. Secondo le recenti valutazioni del Fondo monetario internazionale, metà dell’Unione europea sarà in recessione, mentre si delinea il rischio di una eccessiva normalizzazione dei tassi ufficiali.
Nel terzo trimestre 2022, a fianco del rincaro dei tassi di interesse, cade la domanda di credito per gli investimenti. Con una ridotta accumulazione di capitale si determinano ricadute sulla propensione all’innovazione e sulla dinamica della produttività, mentre si frena la sostituzione di impianti meno efficienti, rallentando il contenimento dei consumi di energia e la transizione green delle imprese.
In un contesto di politica fiscale prudente l’aumento dei tassi fa salire la spesa per gli interessi sul debito pubblico, spiazzando gli interventi fiscali a sostegno degli investimenti delle imprese.
La stretta rallenterà il settore immobiliare e delle costruzioni, i comparti che hanno sostenuto la ripresa post-Covid-19: a novembre 2022 il costo dei prestiti per l’acquisto di abitazioni sale al 3,06%, con un aumento di 162 punti base rispetto un anno prima. Anche la spesa delle famiglie per beni di consumo durevoli e di autoveicoli viene penalizzata dall’aumento del costo del credito al consumo, il cui tasso a novembre è salito al 7,66%, con un aumento di 144 punti base in un anno.
Tassi di interesse bancari sui prestiti alle imprese fino a 1 milione di euro
Gennaio 2007-novembre 2022, società non finanziarie, nuove operazioni - Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Banca d’Italia
STUDI – Manifattura recupera (+0,1%) livelli pre pandemia, in ritardo Germania (-5,9%) e Francia (-4,9%). Il trend della manifattura artigiana
Diverse incognite delineano un 2023 all’insegna dell’incertezza per le imprese italiane, mentre il settore manifatturiero - più esposto agli effetti del caro energia - mostra segnali di rallentamento dell’attività produttiva, dopo una ripresa post pandemia che è stata più robusta rispetto agli altri paesi europei. Come analizzato in una nostra recente analisi, sulle prospettive della manifattura nei prossimi mesi pesano alcuni fattori critici: la pressione dei costi dell’energia, dei trasporti e del credito, le incertezze per gli investimenti, il rallentamento del commercio internazionale, il lento ritorno alla normalità nelle forniture di materie prime lungo le filiere globali e la persistente difficoltà di reperimento del personale specializzato.
A novembre 2022 l’indice della produzione manifatturiera ristagna (+0,1%) dopo i cali dei due mesi precedenti, -1,0% ad ottobre e -1,5% a settembre. L’indice destagionalizzato mensile cresce su base congiunturale solo per i beni strumentali (+0,1%) mentre cala per i beni di consumo (-0,4%) e i beni intermedi (-0,3%). La produzione nel complesso del trimestre settembre-novembre 2022 segna un calo dello 0,5% rispetto ai tre mesi precedenti. La produzione manifatturiera, al netto degli effetti di calendario, diminuisce del 2,2% in termini tendenziali.
Il trend nei settori a maggiore vocazione artigiana - Nel comparto manifatturiero operano 230mila imprese artigiane con 847mila addetti, pari al 62,5% delle imprese del comparto e al 22,9% degli addetti della manifattura.
Tra i settori con una più alta presenza di occupati in imprese artigiane, a novembre registrano un aumento della produzione: Riparazione macchinari (+4,0%), Mobili (+3,4%), Pelle (+2,0%), Altre manifatturiere (+1,3%), Macchinari (+1,0%), Alimentari (+0,3%), mentre segnano un calo Vetro e ceramica (-1,3%), Prodotti in metallo (-2,4%), Legno (-3,2%) e Abbigliamento (-3,7%). In media ponderata con i pesi dell’occupazione artigiana l'indice segna un calo dello 0,5%.
Nei primi undici mesi del 2022, l’indice medio ponderato con i pesi dell'occupazione artigiana segna un aumento della produzione dello 0,8% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. In chiave settoriale è la moda a trainare l’aumento della produzione, con la Pelle in aumento del 10,4%, l’Abbigliamento del +9,4% e il Tessile a+2,7%; seguono le Altre manifatturiere con +3,4%, il Legno con +3,3%, i Macchinari con +2,6%, i Mobili con +1,9%, gli Alimentari con +1,4%; in territorio negativo rimangono la Riparazione macchinari (-1,5%), il Vetro, ceramica, cemento (-2,5%) e i Prodotti metallo (-3,5%).
Il confronto europeo - Il mese di novembre, a fronte della stazionarietà della produzione in Italia, si registra un aumento dell’1,2% in Ue 27 (+1,2%), più accentuato in Francia (+2,4%) rispetto alla Germania (+0,5%). Nei primi undici mesi del 2021 la crescita tendenziale della produzione è del 2,4% in Ue 27, con spunti positivi per Francia (+1,7%) e Italia (+0,7%), mentre ristagna (-0,1%) in Germania. È nel più lungo periodo che la manifattura italiana mostra la maggiore resilienza, segnando nel 2022 un completo recupero (+0,1%) dei livelli pre pandemia, a fronte del ritardo di Francia (-4,8%) e Germania (-5,9%).
La fase di recupero dopo la crisi da Covid-19 nei maggiori settori dell’artigianato registra un recupero in doppia cifra per Legno con +15,2% e Altre manifatturiere con +11,1%; seguono Mobili con +7,7%, Vetro, ceramica, cemento con +5,3%, Alimentari con +3,3% e Macchinari con +1,4%. Recupero da completare per Riparazione macchinari (-0,1%) e Prodotti metallo (-1,4%), mentre segnano una maggiore ritardo rispetto ai livelli pre pandemia i comparti della moda, con Tessile a -6,3%, Pelle a -11,2%, Abbigliamento a -29,2%. Per la moda va consolidato, meglio se accelerato, il recupero dell'ultimo anno per poter almeno avvicinare in tempi accettabili i livelli produttivi pre pandemia. Un’alta presenza di imprese artigiane nella moda – nelle quali lavora il 31,2% dell’occupazione del comparto - determina per l’indice medio ponderato con i pesi dell’occupazione artigiana un ritardo (-1,4%) rispetto ai valori del 2019.
Focus su gioielleria e oreficeria – All’interno della manifattura ad alta vocazione artigiana si registra una marcata performance positiva dal comparto della gioielleria, oreficeria e lavorazione di pietre preziose, un settore che segna una crescita dell’attività a doppia cifra, con la produzione dei primi undici mesi del 2022 che segna un aumento del +14,8% rispetto lo stesso periodo dell’anno precedente. Per la performance del 2022 il comparto della gioielleria e oreficeria è al 6° posto tra 151 comparti manifatturieri (classi Ateco 2007 a 4 digit). Rispetto al livello pre pandemia il settore segna un aumento della produzione del +28,0%, anche in questo caso collocandosi in 6° posizione.
L'Italia è il primo paese in Ue per valore della produzione di gioielleria e oreficeria, concentrando oltre la metà (53,6%) della produzione dei 27 paesi dell’Unione, davanti a Francia (19,6%), Germania (11,6%), Spagna (5,6%) e Belgio (3,7%); questi cinque paesi concentrano il 94,1% della produzione europea del settore.
Le tendenze del settore saranno al centro nel corso di VicenzaOro January, manifestazione fieristica che si tiene dal 20 al 24 gennaio, in cui Confartigianato Restauro promuove un intervento all’interno del convegno di apertura sul ruolo dell’impresa artigiana all’interno della filiera orafa. Nell’ambito della fiera, la Categoria ha organizzato anche la riunione del proprio Consiglio Direttivo Nazionale.
Dinamica produzione manifatturiera rispetto i livelli pre pandemia nei maggiori paesi Ue
Gennaio-novembre 2022 – var. % rispetto gen.-nov. 2019, indice corretto per calendario - Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Istat
Settori artigianato manifatturiero: occupati e trend produzione di breve e lungo periodo
Novembre 2022 - indice produzione corretto per calendario e destagionalizzato per m/m; addetti 2020