MEDIA - Il Made in Italy conquista gli Stati Uniti con un’icona della cultura americana

Il Made in Italy, sinonimo di qualità e creatività, si afferma nei settori più diversi, arrivando a conquistare gli Stati Uniti con un prodotto simbolo della cultura americana: il toro meccanico.
La Voce di New York, primo giornale statunitense in lingua italiana e inglese, punto di riferimento per la comunità italoamericana e per gli italiani negli USA, racconta la storia di Erika Tessarolo, imprenditrice italiana che ha portato i suoi tori meccanici in tutto il mondo, con particolare successo negli Stati Uniti.
Portavoce di Confartigianato Costruttori di Attrazioni, il cluster di imprese che producono attrezzature e macchinari per il settore dell’intrattenimento, Tessarolo guida M.Art Technology, azienda con sede a Manerba del Garda (Brescia) che opera con il marchio ShowGames.com.
Dopo aver affrontato la crisi economica del 2008, ha deciso di rilanciare l’attività familiare trasformando i tori meccanici in attrazioni da rodeo per il mercato statunitense. Nel 2014 è entrata nel settore senza intermediari, puntando su un rapporto diretto con i clienti, basato su «comunicazione, collaborazione e affidabilità».
Nel 2020 ha fondato la propria azienda, unendo tradizione e innovazione. Ogni toro meccanico è realizzato su misura, con materiali di alta qualità e dettagli personalizzati. L’introduzione dell’assistenza da remoto, sviluppata nel 2019, ha reso possibile il monitoraggio delle macchine a distanza, riducendo i costi e migliorando il servizio.
I tori meccanici di Tessarolo sono certificati per l’uso nei parchi divertimento anche senza operatore. I movimenti sono regolabili via computer e il sistema si arresta automaticamente quando il cavaliere lascia la corda di sicurezza, garantendo un’esperienza senza rischi.
Innovazione e sostenibilità vanno di pari passo: i materiali impiegati sono progettati per essere riutilizzati e riciclati, riducendo l’impatto ambientale.
L’articolo accende i riflettori su un settore di eccellenza, quello dei costruttori di attrazioni italiani, che anche all’estero si distingue per la qualità manifatturiera e il livello tecnologico delle proprie produzioni.
«Un’eccellenza italiana riconosciuta a livello internazionale per il suo contributo al settore dell’intrattenimento», Tessarolo ha costruito un’impresa solida, fondata sulla capacità di adattarsi alle sfide e trasformare ogni ostacolo in un’opportunità.


STUDI – In Italia innovative il 60,3% delle piccole imprese vs 47,2% di Ue 27, meglio di Germania (58,5%) e Francia (53,0%)

Una elevata propensione all’innovazione da parte delle imprese genera diversi effetti positivi sull'economia. L’innovazione di processo determina metodi di produzione più efficienti e un aumento della produttività. L'introduzione di nuovi prodotti e servizi stimola e amplia la domanda, sia interna che sui mercati internazionali.  Le imprese che innovano differenziano la gamma produttiva e migliorano la posizione competitiva. Le modifiche dei processi produttivi possono generare nuove opportunità occupazionali, soprattutto in segmenti ad elevata qualificazione. Le imprese innovative sono più attraenti per gli investitori, attivando un flusso di capitali che può stimolare processi di crescita e ulteriori innovazioni. Nuovi prodotti e processi innovativi nei settori della sanità, della tecnologia digitale e dei trasporti portano a miglioramenti nella qualità della vita dei cittadini, riducendo i costi di famiglie e imprese. Le imprese orientate all’innovazione effettuano interventi e pratiche più sostenibili. L’innovazione può spingere alla creazione di nuove filiere produttive, favorendo una maggiore diversificazione dell’offerta, più orientata a prodotti innovativi, e riducendo la dipendenza da comparti più tradizionali. Sui driver di nuova imprenditorialità si veda una nostra analisi su Spirito artigiano. Un sistema di imprese orientato all’innovazione ha un più rapido adattamento ai cambiamenti del mercato e risulta più resiliente nelle fasi cicliche recessive.

Cambia la narrazione su innovazione e dimensione d’impresa - Talune analisi sul sistema imprenditoriale associano una ridotta propensione ad innovare alla diffusa presenza di piccole imprese, ma l’elaborazione dei dati dell’indagine europea sull'innovazione (CIS) recentemente pubblicati impongono spunti per una diversa narrazione.

Nel confronto internazionale su dati Eurostat si delinea, infatti, una elevata performance innovativa delle piccole imprese italiane. Poco meno della metà delle imprese nei paesi dell'UE ha svolto attività di innovazione (47,2%) durante il periodo di riferimento 2020-2022, con una quota più elevata di 13,1 punti per le piccole imprese italiane che nel 60,3% dei casi hanno svolto attività di innovazione. L’Italia si colloca al terzo posto nel ranking dei 27 paesi dell'Unione, posizionandosi davanti a Germania (58,5%) e Francia (53,0%) e alle più distanziata Spagna (30,0%).

Nel dettaglio il 30,9% delle piccole imprese ha introdotto almeno un’innovazione di prodotto nel mentre è più diffusa l’innovazione di processo, rilevata nel 50,2% dei casi.

L’attività di ricerca e di innovazione delle imprese determina un aumento della qualità intrinseca dei prodotti del made in Italy, fenomeno caratterizzato da un migliore design, una più alta qualità delle materie prime e l’introduzione di nuove funzionalità (si veda l’analisi a pagina 68 del 19° Rapporto annuale di Confartigianato ‘Italia, la grande officina delle piccole imprese’).

Le piccole imprese attente all’ambiente nei percorsi innovativi – Vi è una diffusa conciliazione tra innovazione e salvaguardia dell’ambiente. Il 37,9% delle piccole imprese che hanno innovato hanno intrapreso azioni a basso impatto ambientale. Nel 33,8% delle piccole imprese l’implementazione di innovazioni si è tradotta in effetti ambientali positivi in fase di produzione e nel 27,1% in benefici ottenuti nella fase di consumo e utilizzazione dei beni e servizi. Gli interventi più frequenti hanno riguardato il minor consumo di energia e la riduzione delle emissioni di CO2. A seguire si collocano la sostituzione di materiali tradizionali con materiali meno inquinanti o pericolosi, la riduzione dell’inquinamento atmosferico, idrico, sonoro e del suolo, riciclaggio dei materiali e dei rifiuti, riciclo dell’acqua e dei prodotti a fine vita. Più limitato è l’impegno nella tutela della biodiversità.

In chiave territoriale - i dati regionali più recenti relativi alle imprese con almeno 10 addetti sono contenuti nel Rapporto Bes pubblicato dall’Istat nel 2024 – la maggiore propensione all’innovazione di prodotto o di processo delle imprese si osserva nelle Marche con 59,0%, seguita, con valori superiori alla media, da Piemonte con 58,3%, Liguria con 54,8%, Veneto con 52,3%, Friuli-Venezia Giulia con 52,2%, Emilia-Romagna con 52%, Abruzzo – prima regione del Mezzogiorno - con 51,9% e Umbria con 51,6%.

 
Propensione all’innovazione delle piccole imprese nei paesi Ue 27
2020-2022, % imprese 10-49 addetti - Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Eurostat
 
 
Innovazione del sistema produttivo per regione
% imprese con 10 addetti e oltre che hanno svolto attività innovative di prodotto o di processo nel triennio 2018-2020 - Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Istat


STUDI – Elevato livello di digitalizzazione per il 22,5% delle piccole imprese italiane

 

La stretta monetaria più pesante nella storia dell’euro, adottata per contrastare la fiammata inflazionistica conseguente allo shock energetico innescato dalla guerra in Ucraina, ha compromesso la propensione ad investire, mettendo un freno ai processi di transizione digitale e green delle imprese.

Nel 2024 la quota di imprese che investono in digitale è del 66,8% ed è inferiore di 4 punti al 70,8% del 2021. L’analisi dei conti nazionali evidenzia che gli investimenti delle imprese nel 2023 ammontano a 271,4 miliardi di euro, pari al 12,7% del PIL. Gli investimenti digitali rappresentano il 10,6% del totale degli investimenti nel settore privato, non agricolo e non finanziario.

La frenata nella digitalizzazione delle imprese compromette la capacità di competere, in un contesto caratterizzato da un crescente utilizzo di tecnologie digitali nella relazione con la clientela, nell’organizzazione del lavoro e nei processi di innovazione. Il 26,9% delle piccole imprese che innovano hanno introdotto l’innovazione nei sistemi informativi e nei processi di data analysis, quota che sale al 29,1% nella manifattura.

Gate4Innovation (G4I) – Per accompagnare  le micro, piccole e medie imprese nel percorso di crescita tecnologica e competitiva Confartigianato ha avviato Gate4Innovation (G4I). Il Polo per l’Innovazione Digitale offre alle imprese la valutazione del livello di maturità digitale, analizzando processi e competenze, evidenziando punti di forza, criticità e opportunità di crescita, oltre ad azioni concrete per l’innovazione, lo sviluppo e l’accesso a strumenti di finanziamento.

L’indicatore di maturità digitale: il confronto internazionale – La transizione digitale nelle imprese viene valutata da Eurostat e Istat mediante il Digital Intensity Index (DII) 2024, un indice che misura l’utilizzo da parte delle imprese di 12 diverse tecnologie digitali (elenco nel  Glossario dell’Istat) relative agli ambiti di connettività e accesso a Internet, competenze digitali, sicurezza informatica, IA e commercio online. Una nostra recente analisi ha indagato la crescita dell’utilizzo  dell’intelligenza artificiale (IA) da parte delle piccole imprese.

L’ indice individua quattro livelli di intensità digitale in funzione del numero di attività svolte dalle imprese: fino a 3 attività (livello molto basso), da 4 a 6 (livello basso), da 7 a 9 (livello alto) e da 10 a 12 (livello molto alto). L’intensità di base è costituita dall’utilizzo di almeno 4 attività. Nel confronto internazionale si osserva che nel 2024 il 67,8% delle piccole imprese italiane con 10-49 addetti si colloca a un livello base di digitalizzazione, corrispondente all’adozione di almeno quattro attività digitali su 12, inferiore ma non distante (-2,3 punti) alla media del Ue a 27. Nel confronto tra le maggiori economie dell’Ue un livello base di digitalizzazione è più diffuso in Germania (77,1%) e Spagna (71,8%), mentre presenta un valore inferiore dell’Italia la Francia (65,7%).

Circa un terzo (32,2%) delle piccole imprese italiane registra un valore molto basso dell’indice, poco meno della metà (45,3%) registra valori bassi, un quinto (20,2%) ha valori alti mentre il restante 2,3% si colloca nella fascia più alta, con un indice che sottende l’utilizzo di almeno 10 delle 12 tecnologie digitali in esame. Nel complesso il 22,5% delle piccole imprese presenta un indice di intensità digitale elevato (alto e molto alto, con l’utilizzo di almeno 7 tecnologie su 12), quota inferiore di 5,8 punti alla media del Ue a 27. Nel confronto tra le maggiori economie dell’Ue è più diffusa una elevata digitalizzazione delle piccole imprese in Germania (34,8%) e Spagna (27,6%), mentre l’Italia sopravanza la Francia (18,2%).

 

 
Piccole imprese con un livello ‘base’ di digitalizzazione
2024, almeno quattro attività digitali su 12, % imprese 10-49 addetti - Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Eurostat

 
Digital Intensity Index 2024 per piccole imprese in Italia ed Ue 27
2024, classi di utilizzo di 12 tecnologie digitali - Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Eurostat

 


STUDI - Le conseguenze economiche delle guerre: 171,4 miliardi di euro in tre anni

Lunedì prossimo saranno trascorsi tre anni dal 24 febbraio 2022, giorno in cui la Russia ha iniziato l’invasione dell’Ucraina. Da allora, sul fronte dell’economia si sono succedute una grave crisi energetica che nell’autunno del 2022 ha triplicato i prezzi dell’energia elettrica, la stretta monetaria più pesante della storia dell’euro, la caduta del commercio internazionale e le incertezze derivanti dallo scoppio del conflitto in Medio Oriente. Le conseguenze economiche delle guerre sono misurate nel Report ‘La congiuntura nei settori a inizio 2025. Focus su dazi Usa e crisi Germania’ presentato oggi dall'Ufficio Studi alla Consulta Categorie. Qui per scaricarlo.

Prima di esplorare il conto dei danni economici dei conflitti in corso, va doverosamente premesso che le guerre presentano sempre un conto inaccettabile di vite umane civili, oltre che militari. Si vedano i monitoraggi delle Nazioni Unite sulle vittime civili in Ucraina e su quella nella Striscia di Gaza.

Perso mezzo punto all’anno del PIL mondiale - Se confrontiamo le previsioni del Fondo monetario internazionale di ottobre del 2021, antecedenti allo scoppio della guerra in Ucraina, con i dati del World Economic Outlook pubblicato lo scorso gennaio, si calcola che tra il 2021 e il 2025 l’economia mondiale ha contabilizzato mezzo punto di minore crescita del PIL all’anno: a fronte di un previsto tasso di crescita medio annuo del +3,8% il ritmo della crescita mondiale si abbassa al +3,3%.  La frenata è più marcata per l’Unione europea che, a fronte di un previsto tasso di crescita medio annuo del +2,6% realizza un più ridotto tasso del +1,6%.

Sull’abbassamento del sentiero di crescita pesano numerosi fattori. All’incertezza determinata dall’instabilità del contesto internazionale e il calo della fiducia delle imprese, si sommano gli effetti delle diffuse strette monetarie attuate dalle banche centrali per arginare lo shock inflazionistico innescato dalla crisi energetica, del crescente ricorso a misure protezionistiche, del calo del commercio internazionale nel 2023 e la frenata delle economie di Cina e Germania.

Le conseguenze delle guerre: l’impatto sull’economia italiana - Nel triennio 2022-2024 il  complesso delle conseguenze economiche delle guerre si misura in 171,4 miliardi di euro – in media annua pari al 2,9% del PIL - conseguenti alle minori esportazioni nei paesi belligeranti e nella Germania caduta in recessione, i maggiori oneri finanziari per le imprese causate dal caro-tassi e il maggiore costo dell’energia importata. Va peraltro ricordato che, nonostante questi rilevanti impulsi recessivi, l’economia italiana ha mostrato una maggiore resilienza rispetto alle altre economie europee, cumulando tra il 2021 e il 2024 una crescita del PIL del 3,2%, migliore del +2,9% della Francia e della stagnazione (-0,1%) della Germania.

La composizione di minori esportazioni e di maggiori costi - Lo scoppio della guerra in Ucraina e l’inasprimento delle sanzioni nei confronti della Russia hanno determinato un pesante calo dell’export italiano verso i due paesi belligeranti. Tra il 2021 e 2024 l’Italia registra 16,6 miliardi di mancate esportazioni in Russia e Ucraina, una perdita valutata rispetto ad uno scenario di pace in cui, invece, la domanda dei due paesi si sarebbe sviluppata allo stesso ritmo dei mercati extra UE.

Una elevata dipendenza dalla Russia ha contribuito a far scivolare in recessione l’economia tedesca, con ricadute pesanti sulle vendite del made in Italy. Tra il 2021 e il 2024 l’Italia ha registrato una perdita di 22,9 miliardi di euro di esportazioni verso la Germania, valutata rispetto ad uno scenario di stabilità in cui, invece, la domanda del mercato tedesco si fosse sviluppata allo stesso ritmo dei restanti paesi dell’Eurozona.

L’elevata dipendenza energetica dell’Italia dalle importazioni e la spinta dei prezzi delle commodities hanno innescato un grave appesantimento della bolletta energetica. Se prendiamo a riferimento il livello normale di importazioni di energia del 3,5% del PIL rilevato nel 2021, l’Italia ha registrato un maggiore costo di acquisto di energia dall’estero per 76,3 miliardi di euro nel triennio 2022-2024. Nel corso della fiammata inflazionistica, in conseguenza di una escalation asimmetrica dei prezzi dell’elettricità in Europa, le micro e piccole imprese (MPI) italiane hanno pagato un pesante gap competitivo sul costo dell’energia elettrica rispetto a quello dei competitor europei. L'allargamento del conflitto nel Medio Oriente ha interessato un’area che è strategica per l'Italia per la fornitura di commodities energetiche: i paesi del Medio Oriente concentrano quasi un terzo (31,4%) delle forniture di energia all’Italia, mentre rappresentano un mercato che vale 25,9 miliardi di euro di esportazioni, pari al 4,1% del totale dell’export italiano.

La grave turbolenza dei prezzi dell’energia ha riportato ad un tasso di inflazione armonizzato a doppia cifra, arrivando al +12,6% nell’autunno del 2022. Per riportare la crescita dei prezzi sotto controllo, la Banca centrale europea innalzato il costo del denaro, con un aumento di 400 punti base in soli dodici mesi. Nonostante dall’estate scorsa la BCE abbia avviato l’allentamento monetario, nel triennio 2022- 2024 si registrano 55,6 miliardi di euro di maggiori oneri finanziari sulle imprese, mentre a dicembre 2024 il trend dei prestiti alle imprese rimane in territorio negativo, segnando una flessione del 2,3% (era -3,6% nel mese precedente). L’impatto è misurato dalla differenza tra il costo del credito effettivo rispetto a quello che si sarebbe ottenuto applicando i tassi di interesse vigenti a fine 2021. Il caro-tassi riduce la propensione ad investire, ostacolando il sistema delle imprese impegnate in una complessa doppia transizione, digitale e green.

 
Le conseguenze economiche delle guerre sull’economia italiana              
Miliardi di euro cumulati 2022-2024 - Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Istat, Banca d’Italia e Bce


STUDI – Germania gigante addormentato d’Europa. Nel 2024 persi 10 milioni € al giorno di vendite del made in Italy

La governance dell'Unione europea sta affrontando una complessa fase di cambiamento nelle relazioni internazionali, innescata dalla nuova presidenza degli Stati Uniti. Sullo sfondo le posizioni critiche dei due maggiori paesi dell’Unione: una crisi di governabilità in Francia e le incertezze sugli scenari in Germania dopo le elezioni di domenica prossima, 23 febbraio. Le elezioni federali per il rinnovo del Bundestag si tengono dopo due anni di recessione, mentre le previsioni di ripresa per quest’anno sono state riviste al ribasso. Le scelte di politica fiscale del prossimo Governo tedesco e l'evoluzione dell'economia della Germania sono determinanti per l'intera Unione europea e per l'Italia, il principale competitor della manifattura tedesca. Dopo la Brexit, l’economia tedesca ha consolidato la posizione di leadership europea, rappresentando oltre un quarto del PIL dell’Unione a 27.

L’analisi sull’economia della Germania e sull’export sul mercato tedesco è contenuta nella Elaborazione Flash ‘Made in Italy in Germania, il gigante addormentato d’Europa’ pubblicato oggi dall’Ufficio Studi. Qui per scaricarlo.

La crisi dell’economia tedesca - Il 2024 è stato il secondo anno consecutivo di recessione in Germania, con un calo del PIL dello 0,2%, dopo la flessione dello 0,3% registrata nel 2023. Era da oltre vent’anni (dal 2002-2003) che l’economia tedesca non registrava due anni consecutivi di recessione. Per il 2025 è prevista un ritorno ad una debole crescita (+0,3%), con le previsioni di gennaio 2025 del Fondo monetario internazionale che revisionano al ribasso la crescita di 0,5 punti rispetto alla previsione di ottobre 2024.

Tra il 2019 e il 2024 la Germania, dopo la Finlandia e l’Estonia, è il paese dell’Unione con la più bassa crescita del PIL (+0,4% in cinque anni). La politica economica non ha corretto questo trend, con la stretta monetaria più pesante della storia dell’euro accompagnata da una politica fiscale del Governo tedesco eccessivamente prudente. Tra i fattori di crisi dell’economia tedesca una bassa accumulazione di capitale privato e pubblico che influenza negativamente innovazione, twin transition (digitale e green) ed efficienza della Pubblica amministrazione. In Germania si è registrato un maggiore impatto dello shock energetico innescato dall'invasione dell’Ucraina, con una elevata dipendenza dal gas russo (65,4% dell’import nel 2021 vs 40,9% della media Ue). Pesa il più basso profilo crescita della Cina: dalla Germania il 42,4% dell’export europeo sul mercato cinese e nel 2024 si delinea un calo dell’export tedesco in Cina del 6,9% dopo la caduta dell’8,9% del 2023. Con la crisi demografica si acuisce la carenza di competenze, più elevata rispetto agli altri maggiori paesi europei.

La recessione nell’automotive - Nel 2024 la produzione della prima manifattura d’Europa perde il 4,8%, facendo peggio del calo del 2,5% della media Ue. Pesa il calo del 6,9% della produzione di autoveicoli, che in Germania rappresenta più della metà (52,9%) dell’occupazione europea del settore. Dal varo del Green Deal europeo, tra il 2019 e il 2024, la Germania ha perso il 18,1% della produzione di autoveicoli.

Il calo del made in Italy in Germania - Nel 2024 il mercato tedesco segna una flessione del 5,0% delle vendite del made in Italy a fronte della stabilità (+0,2%) nel resto del mondo: nell’ultimo anno le imprese italiane hanno perso oltre 10 milioni di euro al giorno di vendite sul mercato tedesco.

L’esposizione dei territori – Si osserva una maggiore esposizione sul mercato tedesco del Veneto, con esportazioni di prodotti manifatturieri in Germania che sono pari al 6,2% del valore aggiunto regionale, seguito da Piemonte con 6,1%, Emilia-Romagna con 6,0%, Trentino-Alto Adige con 5,9%, Friuli-Venezia Giulia con 5,5%, Abruzzo, prima regione del Mezzogiorno, con 1 5,2%, Lombardia con 4,6%, Umbria con 4,3% e Toscana con 4,1%. Le province più esposte, con peso delle esportazioni di prodotti manifatturieri in Germania sul valore aggiunto provinciale doppio rispetto alla media, sono: Chieti con 12,5%, Piacenza con 10,8%, Mantova con 9,5%, Reggio Emilia con 8,9%, Vercelli con 8,8%, Terni con 8,8%, Novara con 8,7%, Lecco con 8,6%, Bergamo con 8,6%, Frosinone con 8,5%, Cremona con 8,4%, Vicenza con 8,1%, Alessandria con 8%, Verona con 7,8%, Arezzo con 7,7%, Provincia Autonoma di Bolzano con 7,6% e Modena con 7,6%.

Il trend dell’export territoriale di macchinari in Germania – La domanda di beni di investimento nei paesi dell’Eurozona è penalizzata dalla stretta monetaria e nei territori specializzati nella produzione di macchinari si sta soffrendo la bassa domanda interna e il calo delle importazioni della Germania, di cui l’Italia e la prima fornitrice mondiale per questa tipologia di beni. Nei primi nove mesi del 2024, a fronte di un calo del 5,0% in media nazionale, le esportazioni di macchinari sul mercato tedesco scendono del 10,7% in Veneto e del 9,2% in Emilia-Romagna. Il calo è più contenuto (-2,9%) per la Lombardia, mentre si osserva una tenuta (+0,8%) in Piemonte. Tra le prime quindici province si registrano cali a doppia cifra per Reggio nell'Emilia con -18,5%, Padova con -18,2%, Verona con -15,9%, Modena con -11,4%, Brescia con -11,3% e Parma con -10,4%. A seguire, con cali più intensi della media, Bergamo con -9,7% e Vicenza con -6%, mentre flessioni più contenute si registrano a Varese con -2,5% e Milano con -0,6%. In controtendenza, aumento le esportazioni di macchinari in Germania a Treviso con +4,4%, Torino con +4,5%, Mantova con +5,1%, Bologna con +5,9% e Monza e Brianza con 8,3%.

 
Grado di esposizione sul mercato tedesco per regione
Ultimi 12 mesi a settembre 2024. % export manifatturiero su valore aggiunto 2022 - Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Istat

 
Trend export macchinari in Germania nelle maggiori regioni e province
Primi 9 mesi del 2024. Variazione % tendenziale (regioni e province con % sul totale Italia) - Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Istat