STUDI - Bolletta energetica al 3,2% del PIL, +1,9 punti in 12 mesi, l’incremento più elevato di sempre
Le previsioni di primavera della Commissione europea pubblicate la scorsa settimana indicano per il 2022 una crescita del PIL dell’Italia del 2,4%, correggendo al ribasso di 1,9 punti il +4,3% stimato lo scorso novembre. La revisione è di 1,6 punti per le stime di crescita del PIL reale nell'UE, che è ora prevista al 2,7% per il 2022, rispetto al +4,3% indicato sei mesi fa.
Lo spettro della stagflazione - una recessione accompagnata da inflazione - è delineato negli scenari alternativi contenuti nel report della Commissione, uno avverso con un maggiore aumento dei prezzi delle materie prime energetiche e uno grave, caratterizzato dal taglio dell'approvvigionamento di gas dalla Russia. In quest'ultimo scenario più severo, il tasso di crescita del PIL nell’Eurozona sarebbe di circa 2,5 punti percentuali al di sotto del valore di base previsto nel 2022, mentre l'inflazione aumenterebbe di 3 punti percentuali al di sopra della proiezione di base.
E’ ampia la variazione dei prezzi delle commodities energetiche sottostanti alle previsioni dello Spring 2022 Economic Forecast: nel 2022 il gas naturale passa dai 49,49 euro/Mwh delle previsioni di novembre 2021 ai 97,83 euro/Mwh di maggio 2022 (+97,7%), l'elettricità passa dai 130,72 euro/MWh ai 234,31 euro/Mwh (+79,2%) mentre il barile di petrolio passa dai 68,1 euro ai 95 euro (+39,5%). Queste oscillazioni nelle stime evidenziano l’amplificazione, causata dalla guerra, degli effetti della crisi energetica scoppiata lo scorso anno.
Uno dei canali di trasmissione degli effetti recessivi è quello del saldo del commercio estero. L'esame dei dati pubblicati martedì scorso dall'Istat evidenzia che a marzo 2022 il saldo tra export e import diminuisce di 37,4 miliardi di euro, variazione interamente spiegata dall’interscambio di beni energetici. Su base annua le importazioni di energia salgono a 77,5 miliardi di euro mentre l’export sale a 17,9 miliardi di euro, determinando una bolletta energetica di 59,6 miliardi di euro, pari al 3,2% del PIL, un valore che non si misurava da otto anni, pur rimanendo (per ora) al di sotto del massimo storico del 4% registrato dieci anni fa (maggio 2021). In soli dodici mesi il saldo import-export di energia peggiora di 37,8 miliardi di euro, quasi due punti di PIL (1,9) in più, l’aumento più ampio su base annua mai registrato.
I prezzi all'importazione di petrolio greggio e gas salgono ai massimi storici, segnando a marzo 2022 un aumento tendenziale dell'84,2%, in leggera decelerazione rispetto al +103% di febbraio.
Sulla dilatazione del deficit del commercio con l'estero di beni energetici contribuisce il forte aumento delle importazioni di energia elettrica, incentivato dall'aumento dei costi di produzione nazionale, su cui pesa l’alta dipendenza dal gas. Negli ultimi dodici mesi il valore dell'import di elettricità sale del 309,4% su base annua, salendo al massimo di 7,5 miliardi di euro (circa tre volte e mezzo i 2,3 miliardi di euro della media del triennio 2018-2020). Va ricordato che, in relazione alla composizione dei paesi fornitori, il 45,4% dell’energia elettrica che importiamo è prodotta da centrali nucleari.
L’analisi dell’Ufficio Studi nella rubrica ‘Imprese ed energia’ su QE-Quotidiano Energia.
Bolletta energetica negli ultimi trent’anni: 1993-2022
gennaio 1993-marzo 2022, cumulato 12 mesi in % del PIL, PIL 2022: Spring 2022 forecast - Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Istat e Commissione europea
Dinamica prezzi importazione di petrolio greggio e gas naturale
gennaio 2006-marzo 2022, var. % rispetto 12 mesi prima - Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Istat
STUDI – Le sfide della primavera 2022 per le imprese e i giovani, tra crisi energetica e guerra nel cuore d'Europa. Highlights del Report Giovani imprenditori
Oggi, nel corso della Convention 2022 del Movimento Giovani Imprenditori di Confartigianato in programma a Roma, è stato presentato il report ‘Imprese e giovani: le sfide della primavera 2022, tra crisi energetica e guerra nel cuore d'Europa’.
Nel 2021 l'Italia è prima in Ue per numero di imprenditori e lavoratori autonomi under 35 che sono 694 mila. Nel dettaglio a fine 2021 le imprese con a capo un giovane under 35 sono 537.915 e rappresentano l'8,9% del totale delle imprese: oltre un quinto (22,9%) sono artigiane e pari a 123.321 unità ed il peso dei giovani è più alto in quanto pari al 9,6%. Il quadro sull’imprenditoria giovanile per territorio nell’Appendice statistica curata dall’Osservatorio MPI Confartigianato Lombardia. Per scaricare il report e l’appendice accedi a 'Consultare ricerche e studi'. Qui le pubblicazioni dell’Ufficio Studi.
Giovani imprese nel 'secolo dell'incertezza', con dieci crisi in un ventennio - Notevole la sfida per le imprese guidate da giovani, operanti in un'era caratterizzata da turbolenza. In meno di un quarto di secolo si susseguono dieci gravi crisi. Dalla crisi terroristica (2001) alla grande crisi nata dalla finanza e diffusa all'economia reale (2008-2009), seguita dalla crisi del debito sovrano (2011-2013), la prima fase della crisi russo-ucraina (2014), la pandemia globale (2020), le strozzature lungo le filiere globali e l'escalation dei prezzi delle commodities (2020-2021), lo scoppio della crisi energetica (2021) per arrivare all'invasione dell'Ucraina (2022), eventi trasversalmente attraversati da una progressiva crisi climatica e un ritorno dell'inverno demografico.
Siamo passati dal 'secolo breve' al 'secolo dell'incertezza'. In Italia negli ultimi 14 anni (2008-2021) si sono registrati 6 anni di recessione, mentre nei precedenti 47 anni (1961-2007) solo 2 furono caratterizzati da un caduta del PIL reale.
Giovani imprenditori al centro del cambiamento - Dall’analisi dei dati della rilevazione svolta dai nostri osservatori in rete a inizio 2022 si osserva una maggior propensione da parte dei giovani imprenditori artigiani a reagire e a voler adottare cambiamenti per restare protagonisti del mercato di oggi e di domani (61,4% vs. 55,0% del totale). Le azioni di sviluppo verso cui sono maggiormente orientati sono: l’attivazione di nuovi canali di vendita, la produzione di nuovi prodotti e l’offerta di nuovi servizi e il miglioramento della qualità del personale.
Mercato del lavoro - La ripresa in corso, seppur rallentata dalla pressione sui costi di produzione delle imprese e dal calo dei consumi determinato dall’inflazione, arrivata ad aprile 2022 al 6%, ha riverberato effetti positivi sul mercato del lavoro: a marzo 2022 gli occupati recuperano il livello pre-crisi di febbraio 2020, precedente allo scoppio dei contagi da Covid-19, registrando un modesto +0,1% e cumulando 18 mila unità in più nei 25 mesi di pandemia. Il recupero è più marcato per l’occupazione dipendente che segna il +1,3% (+233 mila unità) mentre persiste il forte ritardo del lavoro indipendente, in calo del 4,1% (-215 mila unità).
Nella ripresa della domanda di lavoro sono protagoniste le Micro e piccole imprese (MPI) : il saldo tra le attivazioni e le cessazioni nel 2021 è pari al 67,1% del totale, risultando superiore di ben 17,9 punti percentuali rispetto al 49,2% che tali imprese rappresentano sullo stock di posizioni lavorative dipendenti. Inoltre, nelle MPI si privilegia il lavoro più stabile: tali imprese rappresentano infatti l’81,4% delle posizioni di lavoro create a tempo indeterminato.
La crisi del lavoro conseguente alla pandemia mostra per i giovani una evoluzione diversa rispetto alle precedenti recessioni. Gli occupati under 35 aumentano di 140 mila unità nei 25 mesi che intercorrono dallo scoppio della crisi (febbraio 2020-marzo 2022), mentre scendono i senior, delineando uno scenario completamente diverso rispetto alle precedenti fasi recessive. Nei 25 mesi successivi allo scoppio della Grande crisi (2008-2009) l’occupazione degli under 35 crollò di 947 mila unità; analogamente, a due anni circa dall’innesco della crisi del debito sovrano (2011-2013), si registrò un calo di 814 mila giovani occupati.
Il tasso di occupazione under 35 nei territori - A livello territoriale la dinamica 2021-2019 (anno pre-crisi) del tasso di occupazione under 35 permette di rilevare che a fronte di un ritardo per l’Italia di 0,7 punti percentuali, tra le regioni recuperano quanto perso causa pandemia Friuli-Venezia Giulia (+2,1 punti percentuali), Campania (+1,0 punto), Puglia (+0,8 punti), Abruzzo (+0,8 punti), Liguria (+0,4 punti) e Molise (+0,1 punti) mentre restano in forte difficoltà Lombardia (-3,2 punti) e Provincia Autonomia di Bolzano (-3,9 punti) che chiudono la classifica. A livello provinciale le migliori performance di recupero si rilevano per Frosinone (+9,1 punti), Barletta-Adria-Trani (+8,3 punti) e Pistoia (+7,3 punti) e quelle peggiori, lontane e sotto i livelli pre-crisi, per Parma (-7,3 punti), Padova (-7,5 punti) e Massa-Carrara (-11,3 punti).
Le criticità: Neet, emigrazione e demografia - Nel 2021 i Neet sono il 23,1% dei giovani tra i 15 e i 29 anni, quota che colloca il nostro Paese al primo posto nell'Unione Europea dove la media è del 13,1%. Il segmento più critico è rappresentato da Neet inattivi: allargando l'analisi agli under 35, i dati di dettaglio per condizione professionale disponibili al 2020 indicano che 1 milione 114 mila Neet non cercano lavoro e non sono disponibili a lavorare, il valore massimo del decennio.
L’Italia è caratterizzata dal fenomeno crescente della “fuga di giovani cervelli”: in 5 anni (2016-2020) tra i giovani italiani under 40 laureati gli espatri superano i rimpatri di 65 mila unità. Tra 2011 e 2020 il saldo migratorio con l'estero di questa fascia di età è negativo e crescente e si mostra negativo in tutte le ripartizioni anche se il Centro-Nord registra l’apporto positivo di giovani laureati del Mezzogiorno.
Le previsioni demografiche segnalano una diminuzione ed invecchiamento della popolazione italiana, la quale nei prossimi 20 anni (2022-2042) scende del 5,3% con i giovani under 35 in calo del 14,2%, mentre la classe 35-64 anni si riduce del 20,5%, a fronte dell’aumento di oltre un terzo (+34%) degli anziani con 65 anni ed oltre. Il cambiamento demografico influisce sugli start-up di impresa, sul tasso di innovazione e di crescita della produttività.
Formazione e rapporto scuola-lavoro - Per favorire l'occupazione è necessario migliorare il rapporto tra scuola e impresa. In Italia nel 2021 solo il 5,2% dei giovani italiani occupati under 30 è in percorsi di formazione, una quota che colloca il nostro Paese al 22° posto in Ue a 27, risultando solo un quinto del 24,4% della Germania e un terzo del 15,2% dell'Ue.
La formazione nelle imprese è fondamentale per perseguire gli obiettivi di qualità del prodotto e miglioramento della produttività: la metà (50,3%) delle imprese che effettuato attività di formazione del personale e la tipologia maggiormente diffusa è il training on the job (21,6%), con un ruolo chiave dell'apprendistato, una tipologia contrattuale maggiormente diffusa nelle imprese artigiane di cui rappresenta il 10,1% delle assunzioni del 2021, quota doppia rispetto al 5,4% delle imprese non artigiane.
Le transizioni - I processi di transizione digitale sono accompagnati dall'offerta di servizi di imprese specializzate che in larga parte sono di piccola dimensione. Nel I trimestre 2022 sono 146.583 imprese digitali - che sviluppano software, offrono servizi informatici e per il web e vendono esclusivamente online - di cui 11.615 artigiane (7,9%) e mostrano una dinamica più vivace: in un anno le imprese digitali totali crescono del 4,3% a fronte del calo dello 0,3% per il totale imprese e crescono a doppia cifra (+14,6%) rispetto al periodo pre-pandemia, a fronte della sostanziale stazionarietà (-0,3%) del totale imprese.
Le rivoluzione green necessita di professionalità caratterizzate da una maggiore attitudine al risparmio energetico e alla sostenibilità ambientale, domanda accelerata dall’attuale crisi, con la conseguente necessità di risparmio ed efficienza energetica per cui si registra una richiesta più accentuata da parte delle imprese di minore dimensione e delle imprese artigiane. Nel 2021 le competenze green hanno elevata importanza per il 37,9% delle entrate delle imprese e la quota più alta è pari al 43,6% per le microimprese, seguito dal 37,8% delle piccole imprese mentre la quota minore è il 32,4% delle imprese medio-grandi; in particolare, l'artigianato mostra una quota del 41,1% che supera di 3,2 punti percentuali la media.
#wareconomy- le sfide della primavera 2022 - Con l’evolversi della crisi energetica, scoppiata nel 2022 e amplificata dallo scoppio del conflitto in Ucraina, si intensificano i segnali critici per l'attività delle imprese, dal crescente e divergente andamento dei prezzi dell’energia, al rallentamento dell’economia cinese, accentuato dai lockdown diffusi in diverse aree produttive del paese. Un prolungamento del conflitto e l’acuirsi della crisi energetica potrebbero compromettere gli eccellenti risultati della manifattura made in Italy degli ultimi anni, resi possibili dall’apporto delle micro e piccole imprese. Proprio l’Italia, con una più bassa dimensione media delle imprese (10 addetti medi per impresa) rispetto a Germania (media di 39 addetti) e Francia (media di 15 addetti) è la locomotiva della manifattura europea, registrando la maggiore crescita del volume di valore aggiunto, pari al +5,1% tra il 2016 e il 2021, a fronte del limitato +0,7% in Francia e del calo del 3% registrato in Germania.
La migliore performance è stata resa possibile dalla maggiore resilienza nella pandemia, con il valore aggiunto che nel 2021 recupera interamente (+0,3%) il livello del 2019, a fronte del ritardo del 5,1% della Francia e del 5,8% della Germania.
L’eccellente risultato è stato conseguito con un aumento di efficienza delle imprese italiane: nell’arco del quinquennio in esame, nonostante gli effetti disastrosi del contagio mondiale da Covid-19, la produttività della manifattura in Italia, valutata con l’indicatore del valore aggiunto per ora lavorata, sale del 5,2%, a fronte del +1,3% della Francia e dello 0,4% della Germania.
Questi risultati empirici contraddicono le tesi secondo la quale l’insufficiente crescita italiana va attribuita prevalentemente alla ridotta dimensione media delle imprese, già messa in discussione negli interventi di Confartigianato.
Le criticità di contesto - Il problema dell’Italia non sono i piccoli imprenditori ma l’ambiente che li circonda: l’Italia è ancora al secondo posto in Ue per spesa pubblica, salendo di cinque posizioni in un triennio, ma è al quart’ultimo posto nell’Unione europea per qualità dei servizi pubblici, mentre nel 2022 registra una pressione fiscale più alta di 1,8 punti di PIL rispetto alla media dell’Eurozona.
Sono proprio gli imprenditori più giovani, maggiormente orientati alle relazioni digitali, che sono penalizzati dalla bassa qualità dei servizi pubblici associata ad uno scarso utilizzo delle tecnologie digitali. Solo il 28% dei comuni consente all'utente di completare le pratiche amministrative e, se richiesto, di effettuare il pagamento on line, e crolla al 13% nel Mezzogiorno.
Imprenditori e lavoratori autonomi under 35 nei paesi Ue
Anno 2021. Valori assoluti - Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Eurostat
STUDI – Bassa qualità dei servizi della Pa, ma è alta la spesa pubblica e la pressione fiscale. L’analisi di Confartigianato su IlSussidiario.net
Gli straordinari interventi messi in campo per contrastare la pandemia e la crisi energetica hanno dilatato a dismisura la presenza dello stato in economia. L'analisi del quadro di finanza pubblica aggiornato con le previsioni economiche di primavera 2022 della Commissione europea pubblicate lunedì scorso mostra che la spesa pubblica italiana nel 2022 supera i mille miliardi di euro, arrivando al 54,0% del PIL. Nel 2019, prima dello scoppio della crisi, il rapporto tra spesa e prodotto si fermava al 48,5% e collocava il nostro Paese al 7° posto nell’Ue, mentre quest’anno l'Italia, scalando cinque posizioni, sale al 2° posto dietro solo alla Francia, paese in cui si registra il massimo della spesa in rapporto al PIL, pari al 57% del PIL. In soli tre anni la spesa pubblica italiana è salita di 141,6 miliardi di euro, con un ritmo di 129 milioni in più al giorno. In precedenza, per cumulare un aumento di questo ordine di grandezza, erano stati necessari più di 13 anni: tra il 2006 e il 2019 la spesa era salita di 128,8 miliardi di euro.
Durante la crisi pandemica il livello della presenza statale in Italia ha superato paesi del Centro-Nord Europa con sistemi di welfare avanzati come la Finlandia, il Belgio, la Danimarca, la Svezia e l'Austria. A causa dell’elevato debito pubblico, l’Italia è al 1° posto in Ue a 27 per spesa per interessi, pari al 3,5% del PIL. Nel 2022 il costo per remunerare il debito pubblico italiano è di 65,7 miliardi, ampiamente superiore ai 57,5 miliardi di euro della spesa per interessi di Francia e Germania messe insieme.
L’analisi è proposta nell’articolo I Numeri/ Dalla spesa pubblica al fisco, i tristi primati dell'Italia in Europa a firma di Enrico Quintavalle, pubblicato oggi su IlSussidiario.net.
A fianco della dilatazione della spesa, si osserva il persistere di una elevata pressione fiscale. Su questo fronte va ricordato che alcune agevolazioni fiscali sono contabilizzate come spesa: il DEF 2022 ne documenta 30,8 miliardi di euro nel 2021, da cui discende una più bassa pressione fiscale effettiva. Il confronto internazionale, sempre basato sui dati dalla Commissione europea, evidenzia che per quest’anno il carico fiscale (tax burden) su cittadini e imprese italiani è previsto pari al 43,3% del PIL, superiore di 1,8 punti al 41,5% della media dell’Eurozona, con un tax spread che vale 32,8 miliardi di euro. Il nostro Paese, quindi, è al 4° posto in Unione europea per pressione fiscale, ma sale al 3° per prelievo fiscale sui consumi di energia e al 1° per tassazione del lavoro.
All’intensificazione della presenza pubblica non corrisponde una adeguata qualità dei servizi offerti dalla pubblica amministrazione (Pa). Secondo l’ultima rilevazione di Eurobarometro pubblicata ad aprile dalla Commissione europea, nel 2022 l'Italia si colloca al 24° posto in Ue per la soddisfazione per i servizi pubblici, davanti a Romania, Bulgaria e Grecia, per scivolare al 26° posto per fiducia nella Pa, davanti alla sola Grecia. In chiave territoriale la qualità delle istituzioni è più bassa nel Mezzogiorno, come misurato dall’ultimo rapporto della Commissione europea sulla coesione economica, sociale e territoriale; nel ranking tra 234 regioni europee la peggiore è risultata la regione rumena di Bucarest Ilfov, seguita da Calabria e Campania.
Sulla bassa qualità dei servizi della Pa influisce uno scarso utilizzo delle tecnologie digitali. Secondo una recente analisi pubblicata da Banca d'Italia sul livello dell’informatizzazione delle Amministrazioni locali, solo il 28% dei comuni consente all'utente di completare le pratiche amministrative e, se richiesto, di effettuare il pagamento on line. La quota sale al 35% nel Centro-Nord mentre crolla al 13% nel Mezzogiorno.
Paradossalmente, nel pieno della transizione digitale, aumentano le difficoltà di relazione tra cittadini e gli uffici pubblici. Nel 2020 la quota di cittadini in coda per oltre 20 minuti agli sportelli dell’anagrafe dei comuni rilevata dall’Istat è del 28,4%, undici punti superiore al 17,4% di dieci anni prima, valore che sale al 31,8% nel Mezzogiorno. Paradosso nel paradosso, la lunghezza delle code non scende con una maggiore presenza di dipendenti: in Sicilia il rapporto tra dipendenti comunali e abitanti è il doppio che in Abruzzo e, parallelamente, è quasi doppia anche la quota di cittadini costretti a lunghe code agli sportelli.
La bassa performance delle amministrazioni locali meridionali può compromettere la destinazione del 40% delle risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) nel Mezzogiorno. Nel merito la relazione del Dipartimento per le politiche di coesione della Presidenza del Consiglio dei ministri specifica che la distribuzione territoriale delle risorse “dipende sia dall’effettiva adesione dei soggetti privati e pubblici potenzialmente beneficiari, sia dalla capacità progettuale e amministrativa delle amministrazioni regionali e locali”.
Nonostante i vistosi squilibri della presenza pubblica nell’economia, la manifattura italiana, caratterizzata da una diffusa presenza di micro e piccole imprese esposte alla concorrenza internazionale, registra una migliore performance rispetto ai competitor europei. Nell’ultimo quinquennio (2016-2021), l’Italia, con una più bassa dimensione media delle imprese, registra una crescita del volume di valore aggiunto manifatturiero del 5,1%, a fronte del limitato +0,7% in Francia e del calo del 3% registrato in Germania. Alla migliore performance ha contributo la resilienza durante la pandemia delle imprese manifatturiere italiane, il cui valore aggiunto nel 2021 recupera interamente (+0,3%) il livello del 2019, a fronte del ritardo del 5,1% della Francia e del 5,8% della Germania.
L’eccellente risultato è stato conseguito con un aumento di efficienza delle imprese italiane: nell’arco del quinquennio in esame, nonostante gli effetti disastrosi del contagio mondiale da Covid-19, la produttività della manifattura in Italia, valutata con l’indicatore del valore aggiunto per ora lavorata, sale del 5,2%, a fronte del +1,3% della Francia e dello 0,4% della Germania.
Questi risultati empirici contraddicono le tesi secondo la quale l’insufficiente crescita italiana vada attribuita prevalentemente alla ridotta dimensione media delle imprese. Al contrario, dovremmo considerare la maggiore crescita che il vitale sistema delle imprese italiane potrebbe generare con servizi pubblici al livello di quelli utilizzati dalle imprese francesi e tedesche e, in generale, con un contesto più favorevole al ‘fare impresa’.
STUDI - Caos superbonus, con blocco lavori a rischio 7,1 miliardi di euro di minore crescita
Le previsioni di primavera pubblicate stamane dalla Commissione europea propongono un severa revisione delle previsioni di crescita dell’economia italiana, con un ribasso di 1,9 punti della crescita del PIL per quest’anno rispetto alle previsioni dello scorso novembre.
Sul lato della domanda si registra un calo di 2,6 punti (da +4,8% a +2,2%) dei consumi privati e di 0,3 punti (da 1,2% a +0,9%) dei consumi pubblici, di 2 punti (da +5,4% a +3,4%) degli investimenti in macchinari e impianti mentre la domanda estera scende di 2,6 punti (da +7,5% a +4,9%). Unica componente in controtendenza è quella degli investimenti in costruzioni, che sono revisionati al rialzo di 3 punti (da +6,2% a +9,2%). Una crescita messa a rischio dal caos-superbonus.
Il nuovo obbligo contenuto nel Dl ‘Taglia prezzi’, approvato la scorsa settimana dal Senato, ha riportata nell’incertezza cittadini e imprese, come denunciato da Confartigianato: il solo annuncio dell’approvazione della norma ha nuovamente bloccato il mercato. Nell'ipotesi che a seguito del blocco del mercato, nella restante parte dell'anno il trend degli investimenti in costruzioni si allineasse, al ribasso, al +2,6% previsto per la media dell’Eurozona, si determinerebbe un effetto recessivo di 7,1 miliardi di euro di minori investimenti, che penalizzerebbe ulteriormente la fragile crescita del PIL del 2022.
Il settore delle costruzioni ha trainato la ripresa post-pandemia, registrando nel 2021 un aumento del valore aggiunto del 13,6% rispetto ai livelli del 2019, a fronte del +0,4% della manifattura e la flessione del 4,4% nei servizi. Il comparto mantiene un andamento positivo anche nella prima parte di quest’anno: nei primi due mesi del 2022 la produzione delle costruzioni registra in Italia un aumento del 18,8% su base annua, più intenso del +7,0% dell’Eurozona.
Il settore ha contribuito anche al recupero del mercato del lavoro: nel 2021 gli occupati superano dell’8,4% il livello del 2019 (+111 mila unità in più) mentre il totale dell’economia è in flessione del 2,4% (-555 mila unità in meno); si tratta dell’unico aumento rilevato tra i macrosettori, visto che il Manifatturiero esteso (comprensivo di estrattivi e public utilities) scende dell’1,7% ed il Servizi segano un calo del 3,7%.
Le imprese delle costruzioni sono protagoniste dell’efficientamento del patrimonio edilizio e contribuiscono alla sostenibilità ambientale. Il settore dell’edilizia è quello che presenta la maggiore quota di lavoratori per cui assume una elevata importanza l’attitudine al risparmio energetico e alla sostenibilità ambientale, richiesta per il 41,7% delle entrate, superiore al 38,7% dei Servizi ed al 33,1% del Manifatturiero esteso, risultando superiore di 3 punti percentuali rispetto alla media di 37,9% per il totale delle imprese con dipendenti.
Il dinamismo delle Costruzioni si riflette anche nella dinamica delle iscrizioni di impresa delle Costruzioni che nel primo bimestre del 2022, crescono del 20,6% in un anno, in controtendenza rispetto al calo di 1,4% del totale economia, e aumentano del 28,2% rispetto allo stesso periodo del 2019, anche in questo caso in controtendenza rispetto al -14,8% del totale economia.
Il trend delle costruzioni nel 19° report di Confartigianato ‘#wareconomy – la gelata della primavera e le sfide dell’inflazione’ accedi a 'Consultare ricerche e studi'.
Domanda aggregata nelle previsioni della Commissione europea: primavera 2022 vs autunno 2021
previsioni per il 2022, var. % rispetto 2021 a prezzi costanti - Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Commissione europea
Effetti del caos-superbonus su investimenti in costruzioni
I trimestre 2021-IV trimestre 2022, milioni di euro a prezzi costanti, ipotesi di tasso crescita Uem da maggio - Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Commissione europea
TG@ FLASH – La settimana di Confartigianato in tre minuti
Il TG@ Flash di Confartigianato per scoprire in appena tre minuti tutte le notizie della settimana sul nostro Sistema, sull’artigianato e sulla micro e piccola impresa italiana. Leggere di più
STUDI – Reati informatici +10% all’anno. Ai tempi della cyberwar, sicurezza informatica cruciale per il 42,1% delle MPI
La guerra in Ucraina ha messo in evidenza come uno dei caratteri dei nuovi conflitti ibridi sia quello degli attacchi informatici. Le operazioni di guerra cibernetica comprendono l’attacco a siti istituzionali – anche in Italia, come registrato ieri da organi di informazione - mettendo in primo piano il tema della sicurezza informatica di enti e imprese.
Nell’ultimo decennio i reati informatici sono cresciuti al ritmo del 10,1% all’anno. Nel dettaglio, tra il 2015 e il 2020 le truffe e frodi informatiche denunciate dalla forza di polizia all’autorità giudiziaria sono salite del 72,8%, mentre sono quasi raddoppiate (+96,3%) le denunce di delitti informatici. Nel periodo in esame il totale dei reati informatici è salito del 72,8% con alcune accentuazioni che emergono dall’analisi territoriale: più che raddoppiato il fenomeno in Veneto (+110,2%), Sicilia (+102,9%) e Umbria (+102,3%), mentre si registrano aumenti sopra alla media di questa tipologia di reati per Lombardia (+90,9%), Piemonte e Sardegna (entrambe con +89,2%), Friuli-Venezia Giulia (+81,2%) e Calabria (+73,9%). All’opposto, si osserva un dinamismo più contenuto del fenomeno in Molise (+8,0%) e Provincia Autonoma Trento (+6,1), mentre è in controtendenza la Provincia Autonoma Bolzano (-10,4%).
Sicurezza informatica fattore cruciale per le MPI - Per cogliere il posizionamento delle imprese in relazione alla sicurezza informatica abbiamo esaminato i dati dell’ultima indagine dell’Istat sulla situazione e prospettive delle imprese dopo l’emergenza sanitaria, nella quale sono esplorate le tendenze di nove fattori chiave della trasformazione digitale delle imprese e le quote di imprese che li hanno indicati come molto importanti o cruciali.
Le imprese mostrano una crescente consapevolezza sui rischi della digitalizzazione e dedicano molta attenzione alla sicurezza, in termini di prevenzione di attacchi ed eventuali azioni di recupero dei dati, con il 42,1% delle micro e piccole imprese (MPI) che lo considera molto importante o cruciale. La quote è del 44,8% nelle MPI del commercio, del 41,1% nella manifattura, del 39,6% per gli altri servizi e del 37,2% per le costruzioni.
Approfondendo la lettura in chiave settoriale, con l’esame dei dati relativi al totale delle imprese, si osservano quote naturalmente più elevate per attività finanziaria e assicurative (80,3%) e i servizi di informazione e comunicazione (73,8%); seguono le attività professionali, scientifiche e tecniche (71,4%), energia elettrica e gas (68,5%), istruzione (57,2%), sanità e assistenza sociale (57,0%), acqua e rifiuti (52,2%), attività immobiliari (46,5%), commercio all'ingrosso e al dettaglio; riparazione di autoveicoli e motocicli (46,1%), attività manifatturiere (45,5%) noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imprese (45,3%). Quote più contenute per altre attività di servizi (21,9%) e attività dei servizi di alloggio e di ristorazione (20,6%).
Tra gli altri fattori della digital transfomation il più rilevante è quello della qualità della connessione Internet - sia fissa sia mobile - considerato molto importante o cruciale dal 53,8% delle micro e piccole imprese. La focalizzazione su questo aspetto, come evidenzia il report dell’Istat “potrebbe segnalare un ritardo ancora non colmato nella piena realizzazione dei piani di connessione digitale ad alta velocità dell’intero Paese.”
Diffusa rilevanza anche per i pacchetti software per la gestione aziendale resi ancora più efficaci dalle opportunità di collegamento in rete all’interno e all’esterno dell’impresa, indicati dal 42,3% delle MPI
La formazione digitale è ritenuta cruciale dal 29,8% delle micro e piccole imprese, essendo un fattore strategico di accompagnamento degli investimenti, sempre più interessati da tecnologie digitali. Dopo i social media, indicato cruciali dal 26,7% delle MPI, oltre una impresa su cinque è focalizzata su automazione e tecnologie 4.0 (21,6%) e sulle soluzioni cloud (20,9%), mentre il miglioramento dei processi legati al commercio online (contenuti web, magazzino, logistica, ecc.) è indicato dal 14,6%. Presente in circa un caso su dieci la focalizzazione sulle applicazioni di intelligenza artificiale e analisi dei big data (9,3%).
Denunce di delitti, truffe, frodi informatiche 2010-2020
2010-2020, migliaia di denunce e var. % tendenziale annuo - Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Istat
Dinamica decennale denunce di delitti, truffe, frodi informatiche per regione e ripartizione
2010-2020, var. % cumulata - Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Istat
Area tecnologica valutate dalle MPI come cruciale
2021, % imprese 3-49 addetti che indicano area come molto importante o cruciale - Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Istat