23 Novembre 2010, h. 00:00
Capitali in fuga, l’Italia non è un paese per imprenditori
Fiat, Ikea e Ryanair sono soltanto tre esempi delle tante multinazionali che periodicamente minacciano di lasciare l’Italia, un paese poco appetibile per gli investimenti, dove è sempre più difficile fare impresa, anche disponendo di ingenti capitali. E così, le micro e piccole imprese artigiane scoprono di avere testimonial inaspettati per le proprie battaglie. Un paradosso tutto italiano, dove multinazionali, grandi e piccole realtà produttive si ritrovano una fianco all’altra per chiedere un paese a misura di imprese. Gli ultimi giorni sono stati un continuo susseguirsi di denunce. Alle ormai note dichiarazioni di Marchionne e del numero uno di Ryanair, la più importante compagnia low cost d’Europa, si è aggiunto l’amministratore delegato di Ikea Italia, che ha minacciato di ritirarsi dal mercato italiano se la situazione non dovesse migliorare. Troppi ostacoli burocratici, troppi gli intoppi creati dagli enti locali. Se in Europa si impiegano in media quattro anni per aprire un punto vendita, in Italia occorre anche il doppio del tempo. Al colosso svedese, ha fatto eco la Banca mondiale, che ha consegnato all’Italia la maglia nera del paese europeo con il più alto prelievo fiscale sulle imprese. Una volta tanto primi in Europa, direbbe qualche cinico, alla faccia della competitività delle nostre imprese, dell’attrattività del nostro paese e di un mercato del lavoro alla disperata ricerca di occupazione. Una situazione drammatica, che le piccole imprese e Confartigianato denunciano da tempo. L’ufficio studi ha calcolato che un’impresa artigiana impiega 334 ore per tutti gli adempimenti fiscali e burocratici, pari a 42 giorni lavorativi all’anno. Troppo per chi non può disporre degli aiuti concessi alla grande industria. Il Belpaese non riesce più a sostenere le proprie imprese, né tantomeno ad attrarre investimenti esteri. La conferma arriva dall’ICE, l’Istituto per il commercio estero, che nei giorni scorsi ha diffuso un rapporto che vede l’Italia ancora una volta all’ultimo posto tra i paesi dell’eurozona in grado di attrarre capitali. Una tesi confermata e rilanciata anche della Conferenza delle Nazioni unite sul commercio e lo sviluppo. Tra il 2007 ed il 2008, gli investimenti diretti in Italia sono crollati del 57%, facendo scivolare il nostro paese alle spalle di Messico, Nigeria e Turchia. Le cause sono una filastrocca fin troppo nota alle orecchie degli artigiani. Corruzione, scarsa flessibilità del mercato del lavoro, infrastrutture insufficienti, eccessiva pressione fiscale per imprese e lavoratori. Problematiche che Confartigianato denuncia da anni, ma che oggi tengono lontane dal nostro paese quasi la metà delle multinazionali attive nel resto d’Europa. Oltre ad opprimere e soffocare tutte le micro e piccole imprese italiane. Alla faccia della libera impresa in un libero stato.
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