24 Ottobre 2007, h. 00:00
L’energia sottratta alle PMI
Secondo uno studio di Confartigianato l’Italia ha conquistato di recente un nuovo record, un primato purtroppo negativo che la pone al vertice di una particolare classifica, quella dei Paesi europei dove è più alto il prelievo fiscale sulla bolletta energetica delle piccole imprese. Più di un quarto del prezzo dell’elettricità consumata dalle PMI è formato da imposte, mentre la media europea non raggiunge neppure il 10%. Chiamare in causa l’Europa potrebbe sembrare una forzatura, perché, in effetti, quello delle tasse che rendono salata la bolletta non è un problema comune a tutti gli stati dell’Unione: in ben dodici Paesi (tra questi l’Irlanda, la Grecia e il Portogallo) le imprese non pagano nessun balzello sulla corrente, mentre nei restanti 15 lo pagano sì, ma in una percentuale che varia dallo 0.5% dell’Ungheria al 25.4% dell’Italia, che conquista così una maglia nera che nessuno degli inseguitori le invidia, neppure Austria e Olanda fiere di un secondo posto ex aequo, con una media impositiva del 14%. Quasi le metà del Bel paese. Secondo il rapporto dell’Ufficio Studi di Confartigianato sono due le componenti fiscali che fanno schizzare verso l’alto il costo del kilowattora italiano, che rimane tra i più cari d’Europa anche al netto delle imposte: la prima, gli oneri fiscali propriamente detti che, rientrando nella categoria delle imposte dirette, sono qualificati come accise e che quindi vengono pagati normalmente in proporzione ai consumi; la seconda il cosiddetto CIP 6, il pesante onere parafiscale che dovrebbe finanziare l’energia prodotta da fonti ‘rinnovabili’ ed ‘assimilate’, riconfermato per l’ennesima volta anche dalla manovra Finanziaria 2008. Niente da dire sugli stanziamenti a favore delle ‘rinnovabili’ (eolico, solare geotermico), il cui sviluppo è stato indicato come prioritario anche in sede di ratifica del protoccolo di Kyoto sui cambiamenti climatici. E’ sull’analisi delle ‘assimilate’ che insiste lo studio, perché si tratta di fonti di energia ben poco ecologiche, anzi altamente inquinanti. Tra queste gli scarti di raffineria, il petrolio e il metano la cui valorizzazione ha il sapore della beffa visto l’alto impatto ambientale prodotto dal loro utilizzo, un impatto negativo che non dovrebbe avvantaggiarsi di aiuti statali. Ma le beffe che si nascono dietro al ‘fiscowattora’ più caro d’Europa sono diverse. A partire dalla distorsione alla base del sistema italiano di tassazione dell’energia per usi industriali, che premia i grandi consumatori con sconti ed esenzioni sulle accise, scaricando le imposte sulla bolletta delle piccole e medie imprese. Una disparità di trattamento che le PMI trovano quantificata direttamente in fattura e che costa a ciascuna azienda ben 3.600 euro anno, una cifra che sale a 740 milioni di euro se rapportata alla bolletta elettrica complessiva di tutti gli artigiani e Piccole e medie imprese. Una situazione intollerabile che ha spinto Confartigianato a sollecitare l’inserimento nella Finanziaria 2008 di uno specifico emendamento correttivo. La proposta prevede un’equa redistribuzione dell’accise tra piccole imprese e grandi industrie, con aliquote che man mano decrescono con l’aumentare dei consumi e che per i piccoli consumatori partirebbero da 0,54 centesimi di euro, circa la metà rispetto all’aliquota attuale. Si tratta di un operazione che non prevede una riduzione di gettito per l’erario, mentre permetterebbe un risparmio per le aziende artigiane stimato in circa 420 milioni di euro. L’introduzione di misure che correggano l’attuale sistema dell’accise appare più che necessaria, visti gli effetti paradossali che essa genera: oggi una piccola azienda che consuma 1.886.928 kWh l’anno paga 27.360 euro di imposte sull’energia elettrica, ovvero il medesimo importo di una grande impresa che consuma 20 volte tanto. Un secondo esempio aiuta a comprendere ancora di più la voragine che si è aperta tra le piccole e le grandi imprese sul fronte dell’energia, un gap tutto a favore di queste ultime. Un grande consumatore che utilizza 2.300.000 kWh al mese, grazie all’esenzione totale dell’imposta erariale e all’esenzione dell’addizionale provinciale per consumi superiori a 200.000 kWh/mese, paga un importo mensile per accise pari a 2.280 euro, con un’aliquota media di 15 volte inferiore a quella pagata da una piccola impresa che consuma 180.000 kWh al mese e sulla quale gravano a pieno sia l’imposta erariale sia l’addizionale provinciale. Il danno è evidente: le piccole aziende pagano lo stesso prodotto, l’energia, di più delle grandi industrie, un esborso che ha pesanti riflessi anche in termini di competitività e che secondo la Commissione Europea può essere considerato un aiuto di Stato concesso ai grandi consumatori. Ma gli aiuti alle industrie, pagati in massima parte con le bollette delle piccole imprese, non si fermano alle agevolazioni sull’accisa, vanno oltre. Finanziano ad esempio alcune agevolazioni tariffarie stabilite per legge a favore di alcuni soggetti, come le Ferrovie dello Stato, e di imprese dell’alluminio primario come il Tyssen-Krupp Acciai Speciali Terni, Cementir, Nuova Terni Industria Chimica e Alcoa.
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