ELEZIONI POLITICHE 2018
LE PROPOSTE DI CONFARTIGIANATO
“PER TORNARE A CRESCERE”
L’Italia del 2018-2023 potrà essere ancora un grande Paese europeo e occidentale, dentro l’Unione Europea e dentro l’Euro , se e soltanto se:
1) la crescita del PIL, trainata dall’innovazione tecnologica e dalle esportazioni, ma anche da una ritrovata crescita dei consumi interni, riprenderà a ritmi più sostenuti dei nostri competitors di riferimento;
2) verrà riportato sotto controllo il debito pubblico, aumentando l’efficienza della pubblica amministrazione centrale e decentrata;
3) il nostro sistema dei poteri si sarà assestato su equilibri più sensati tra centro e periferia, riducendo il divario Nord-Sud e creando un ambiente amministrativo-istituzionale meno disordinato, più aderente al mondo delle imprese, più orientato all’innovazione e all’efficienza, con una giustizia civile e penale funzionante.
La proposta di Confartigianato “Per Tornare a Crescere” pone al centro il “valore artigiano”, quell’insieme di valori storici, tutt’oggi attuali, ai quali ci ispiriamo, che ci consentono di rappresentare gli interessi generali del ceto medio produttivo e di intere comunità e società locali nel difficile percorso per affrontare in modo solidale le sfide della modernità. Un valore artigiano che oggi si confronta con due grandi driver di cambiamento, globalizzazione dei mercati e tecnologie digitali. Due driver che non mettono fuori uso l’artigianato “tradizionale” ma lo abilitano ad essere protagonista del futuro.
Ed è in questo contesto che si colloca il modello produttivo italiano di economia 4.0 capace di ricomporre crescita del PIL e sviluppo del benessere delle persone e delle comunità locali.
Proprio partendo dal “valore artigiano” si rende necessario nella prossima legislatura superare l’attuale “Legge Quadro sull’artigianato”, nata più di 30 anni fa e che non risponde più al contesto economico attuale, con una nuova regolamentazione che possa superare i limiti dimensionale, settoriale e professionale, avendo come punto di riferimento le modalità di produzione e organizzazione in grado di dare valore distintivo, il “valore artigiano” appunto, al “fare impresa” nel nostro Paese, proprio di quelle imprese che coniugano il “fare” con il “saper fare” mettendo al centro il rapporto tra impresa-persona-famiglia-territorio.
Così come non è più eludibile una legge per la regolamentazione della rappresentanza, che consenta di distinguere tra chi rappresenta interessi collettivi – come nel nostro caso, di centinaia di migliaia di imprese – e chi rappresenta interessi particolari senza reale seguito. Una legge quindi che valorizzi il ruolo dei corpi intermedi della società, quali soggetti da sempre capaci di integrare interessi singoli, rappresentarli e porli in dialogo con altri interessi per trovare la migliore sintesi negli interessi generali del Paese.
Il tessuto produttivo del Paese non può più rappresentare una variabile indipendente rispetto alle politiche messe in atto. Il “Think Small First”, principio base dello Small Business Act europeo – che ha trovato in Italia cogenza nello Statuto delle Imprese – in base al quale le norme devono essere, semplici, chiare, di diretta applicazione, proporzionali alla dimensione aziendale ed al settore di attività, deve rappresentare il principio alla base della definizione di ogni politica pubblica. Tali politiche dovranno essere pensate avendo a riferimento il tessuto produttivo dell’Italia composto per il 99,4% da Micro e Piccole Imprese (con meno di 50 dipendenti), anche con specifiche misure per l’imprenditoria femminile e giovanile, e non limitarsi a prevedere talvolta delle deroghe.
È questo il tessuto produttivo del nostro Paese, l’“Impresa Italiana” che nasce, vive e cresce nei territori, che non delocalizza ma partecipa attivamente allo sviluppo del Paese ed alla creazione di occupazione, sia dipendente che indipendente. Questo è il punto di riferimento della Legge Annuale delle MPMI prevista dallo Statuto delle Imprese che, rimasto inapplicato, riconosce il ruolo delle Micro e Piccole Imprese quale fattore di crescita e di sviluppo del Paese e la cui adozione permetterà di allineare tutte le misure di politica economica e sociale al “Pensare innanzitutto al piccolo” ed a promuovere la crescita delle MPI creando le migliori condizioni di contesto per risolvere i nodi che ne ostacolano lo sviluppo, a partire dalla riduzione degli oneri burocratici.
I NUMERI CHIAVE DELLE PICCOLE IMPRESE E DELL’ARTIGIANATO ITALIANO
– Microimprese (fino a 10 addetti): 4.136.831, il 95,4% delle imprese
– Occupati nelle imprese con meno di 10 addetti: 7.493.481, il 46,0% degli occupati delle imprese
– Piccole imprese (fino a 50 addetti): 4.313.163, il 99,4% delle imprese
– Occupati nelle imprese con meno di 50 addetti: 10.638.511, il 65,3% degli occupati delle impreseImprese artigiane: 1.333.127, il 21,9% delle imprese
– Imprese artigiane nate ogni giorno nel 2017: 319
– Occupati indipendenti nell’artigianato: 1.433.411
– Dipendenti nell’artigianato: 259.835
– Occupati nelle imprese artigiane: 693.246, il 16,5% degli occupati nelle imprese
– Valore aggiunto nell’artigianato: 995 mln di euro, il 10,0% del totale
– Apprendisti: 724
LE PROPOSTE CONFARTIGIANATO PER LA PROSSIMA LEGISLATURA
1) Ridurre la pressione fiscale e semplificare il sistema tributario per rendere più competitivo il Paese
2) Favorire l’accesso al credito delle imprese
3) Sostenere la crescita e la competitività
4) Proseguire e migliorare gli interventi per il Lavoro e la Formazione
5) Costruire un percorso di successo per Impresa 4.0 e l’utilizzo del digitale
1) Ridurre la pressione fiscale e semplificare il sistema tributario per rendere più competitivo il Paese
Occorre innanzitutto evitare che la sterilizzazione delle aliquote IVA assorba nella prossima legge di bilancio, come avvenuto nelle ultime manovre, la quasi totalità delle risorse disponibili, lasciando, di fatto, margini quasi inesistenti per le politiche per lo sviluppo e la competitività. Dalla rimodulazione delle aliquote IVA (peraltro oggetto di una strategia europea in via definizione) potrebbero scaturire le risorse per sostenere una improcrastinabile riduzione della tassazione personale.
La pressione fiscale resta molto alta e si colloca in un sistema fiscale profondamente iniquo che, dietro lo schermo del contrasto all’evasione, ha imposto onerosi obblighi di comunicazione a carico delle imprese. La nostra proposta è tesa a ridurre la pressione fiscale e a semplificare il sistema tributario per rendere più competitivo il Paese. Vanno infatti eliminati gli ostacoli alla produzione garantendo, in primis, parità di trattamento nella tassazione indipendentemente dalla natura giuridica del soggetto (confermando dal 2018 l’entrata in vigore dell’IRI), nonché agevolando la tassazione sui redditi d’impresa incrementali. Per ridurre la pressione fiscale in modo equo e finalizzato alla crescita, deve realizzarsi necessariamente una riduzione IRPEF. Le politiche fiscali dovranno essere differenziate in ragione della dimensione aziendale e dovranno essere ispirate tanto alla semplificazione dei rapporti tra l’amministrazione finanziaria e i contribuenti quanto alla stabilità nel tempo delle norme, certe ed univocamente interpretate, le cui eventuali modifiche dovranno sempre rispettare i principi dello Statuto del contribuente.
Va posto un obiettivo chiaro di reale riduzione degli adempimenti, prevedendo, anche in relazione all’entrata in vigore della fatturazione elettronica, un abbattimento immediato degli oneri amministrativi almeno pari al 25% e attuando subito concrete azioni di semplificazione:
– abrogare l’obbligo di comunicazione delle liquidazioni IVA e dei dati delle fatture;
– sopprimere la disciplina dello split payment;
– ridurre la ritenuta dell’8% al 4% sui bonifici relativi a spese che concedono detrazioni fiscali;
– ridurre i tempi dei rimborsi IVA;
– incrementare a 50.000 euro il limite da cui scatta l’obbligo di apposizione del visto di conformità per la compensazione di crediti d’imposta;
– sopprimere la disciplina del reverse charge applicato al settore edile.
Va previsto un avvio graduale della fatturazione elettronica magari scaglionandone l’entrata in vigore in ragione della dimensione aziendale.
Inoltre, è necessario:
– rendere pienamente operativa la tassazione per cassa del reddito delle imprese in contabilità semplificata introducendo la possibilità di riporto delle perdite;
– escludere dall’IMU gli immobili strumentali, considerando che si tratta di beni che non rappresentano una forma di accumulo di patrimonio. In subordine, va introdotta la totale deducibilità dell’IMU dal reddito e dal valore della produzione ai fini dell’IRAP;
– ridurre l’imposizione IRAP, mediante un progressivo incremento della franchigia per le piccole imprese; va anche valutata la possibilità di sopprimere il tributo trasformandolo in una addizionale al reddito d’impresa garantendo invarianza di gettito, nonché operare una chiara individuazione delle imprese prive di autonoma organizzazione e non soggette all’IRAP;
– far entrare in vigore dal 2018 i nuovi indicatori sintetici di affidabilità fiscale per promuovere la compliance ed introdurre elementi di premialità per i contribuenti “più affidabili” ;
– garantire che il recupero dei proventi derivanti dalla lotta all’evasione e all’elusione sia effettivamente destinato alla riduzione del carico fiscale.
2) Favorire l’accesso al credito delle imprese
Le tensioni relative all’offerta di credito stanno producendo effetti significativi sulle Micro e Piccole imprese, che dipendono in larga misura dal sistema bancario ed accedono con difficoltà a canali alternativi di finanziamento. Strumenti alternativi sono ancora poco sviluppati, sia nella componente di finanziamento fornita dalla borsa sia in quella dei canali di finanziamento mobiliari indipendenti dalle banche. Vanno inoltre evidenziate negativamente le politiche adottate dai maggiori istituti bancari: avversione al rischio, disponibilità liquide allocate in funzione assicurativa, regolamentazione bancaria. Ne deriva un circolo vizioso: non cresce credito, non cresce attività economica, non crescono i depositi. Per sciogliere il pericoloso nodo che si è venuto a creare e fare in modo che la liquidità arrivi alle piccole imprese, è necessario attivare strumenti di finanziamento eccezionali ed innovativi, anche alternativi al credito bancario.
Sarebbe opportuno, dunque, anche nel nostro Paese, individuare un soggetto finanziario pubblico appositamente dedicato alle micro e piccole imprese così come favorire la partecipazione di fondi, investitori istituzionali e soggetti pubblici a forme innovative di finanziamento di iniziative imprenditoriali di piccole dimensioni. Si pensi anche a quanto fatto in altri Paesi, con la creazione di strumenti ‘non convenzionali’ per favorire l’accesso al credito per le piccole imprese: la tedesca Kfw (fondata nel 1948), alla British Business Bank, al programma Funding for lending nel Regno Unito, alla Banque Publique d’investissement francese, ai Credit Funds di USA, Canada e Australia.
Il fenomeno del ritardo dei pagamenti da parte della PA è tutt’altro che superato. La soluzione radicale del problema da noi da tempo proposta consiste nell’applicazione della compensazione generale dei crediti non formalmente contestati dalla P.A. con debiti di qualunque genere verso qualunque ente o organismo pubblico (tributari, fiscali, contributivi, sanzionatori), introducendo una procedura innovativa basata sull’automatismo dell’autoliquidazione del credito.
3) Sostenere la crescita e la competitività
Occorre:
– prevedere una corsia preferenziale con l’introduzione di una quota di riserva per le MPMI nel procurement pubblico;
– rilanciare la tutela del Made in Italy anche con una forte azione tanto a livello nazionale quanto a livello europeo.
Mercato pubblico degli appalti – Il nuovo codice degli appalti ha rappresentato una grande speranza, ma finora si è rivelato un’occasione mancata soprattutto perché non sono stati applicati i principi, tanto affermati e poco praticati, dello Small Business Act in favore delle MPMI. Il giudizio negativo si rafforza considerando il mancato raggiungimento degli obiettivi della Legge Delega: massima semplificazione e rapidità dei procedimenti; lotta alla corruzione e ai conflitti d’interesse per favorire la trasparenza; riduzione degli oneri documentali ed economici a carico delle imprese; razionalizzazione delle procedure di spesa; efficienza e professionalizzazione delle stazioni appaltanti; valorizzazione della territorialità e della filiera corta. La frettolosa abrogazione del previgente Regolamento in assenza delle norme di attuazione del codice, ha generato il sostanziale blocco degli appalti. Il buon senso impone il suo urgente ripristino. Inoltre, la riforma del codice non è ancora conclusa e non vi è stata semplificazione. Il numero esiguo di provvedimenti emessi rispetto a quelli da emettere ne è la dimostrazione. La funzione di vigilanza svolta dall’ANAC unita al suo ruolo di “legislatore” ha indotto di fatto una paralisi nelle stazioni appaltanti che in alcuni casi, approfittando del vuoto legislativo, hanno operato una selezione artificiosa degli operatori economici. È necessario che principi come il “km 0” e la “filiera corta”, che permetterebbe l’inclusione delle micro e piccole imprese del territorio, vengano resi effettivi e valorizzati tra i criteri di aggiudicazione. Ad oggi, nonostante un indirizzo politico forte, anche supportato dal sistema delle Regioni, non sono stati attuati.
4) Proseguire e migliorare gli interventi per il Lavoro e la Formazione
Istruzione e formazione professionalizzante: il valore artigiano delle imprese italiane ha bisogno di competenze. Competenze antiche da trasmettere che si fondono con competenze nuove richieste dalla rapida innovazione tecnologica. È quindi fondamentale, per la competitività del sistema Paese, il sostegno e rilancio dell’istruzione e formazione professionalizzante in un’ottica di filiera che metta a regime il sistema duale (alternanza scuola lavoro e apprendistato), rafforzi i percorsi tecnici e professionali di qualità e valorizzi il livello Terziario con gli ITS – Istituti Tecnici Superiori, che devono uscire dall’attuale status di buona pratica di nicchia.
Negli ultimi anni sono state fatte riforme che hanno modernizzato e semplificato i meccanismi di regolazione del mercato del lavoro, degli ammortizzatori sociali e del welfare. I Paesi che hanno reagito alla crisi meglio di noi avevano già attuato tali riforme. Bisogna proseguire nel percorso riformatore avvalendosi ancor di più della spinta dell’autonomia collettiva, che in un quadro certo di regole sulla rappresentanza potrà essere determinante per contribuire alla ripresa della produttività e della competitività.
Lo Stato non può pensare a tutto: bisogna favorire l’adozione di politiche fiscali e contributive di maggior vantaggio per gli strumenti di welfare (a partire da quello bilaterale contrattuale), favorendo la sussidiarietà.
No al salario minimo legale: il salario minimo fissato dalla legge danneggia l’autonomia collettiva, perché è un forte disincentivo alla contrattazione. Significa avere meno sussidiarietà, meno welfare, meno opportunità per le imprese, meno salario reale per i lavoratori (poiché il salario legale finirebbe con lo spingere in basso tutti i salari), meno coesione sociale.
No a riduzioni della durata del tempo determinato.
5) Costruire un percorso di successo per Impresa 4.0 e l’utilizzo del digitale
Abbiamo apprezzato il piano Impresa 4.0, che tende all’armonica integrazione delle nuove tecnologie digitali e dei nuovi approcci manageriali con le tecnologie e i metodi tradizionali di fare impresa, al fine di perseguire i nuovi livelli di produttività e flessibilità richiesti dal mercato.
È necessario che tale Piano produca gli effetti attesi e non sia rallentato a causa di resistenze, burocrazia, distrazione dagli obiettivi iniziali. Conoscendo la capacità degli artigiani di trovare soluzioni dove sembrano non esserci, crediamo quindi che Impresa 4.0 produrrà effetti positivi se fornirà strumenti di conoscenza agli imprenditori e li lascerà liberi di sperimentare e scegliere senza ingabbiarli in filiere e soluzioni rigide e precostituite o riducendo il potenziale rivoluzionario del processo all’acquisto di tecnologie fine a se stesso.
L’impresa artigiana e la piccola impresa con le sue peculiarità (flessibilità, innovazione creatrice, attenzione alla qualità, predisposizione a lavorare in reti informali, etc.) flessibilità e capacità di creare e progettare con dinamismo, incarnano il modello imprenditoriale del futuro. Grazie alle tecnologie digitali, gli artigiani possono creare nuovi prodotti, conquistare nuovi mercati, raggiungere obiettivi prima preclusi. Il tutto senza smettere di produrre bellezza.
L’obiettivo è che gli imprenditori comincino a “pensare in digitale” il proprio business. È un processo di ri-orientamento e aggiornamento culturale, oggi lontano da essere compiuto, che viene necessariamente prima dell’applicazione delle tecnologie. Un processo per il quale è necessario poter consentire anche agli imprenditori di accedere ad incentivi alla formazione per sé e per i propri dipendenti senza il vincolo della contrattazione aziendale o territoriale.
Riteniamo quindi che si debba pensare alle imprese (a partire da quelle artigiane) che intraprendono il percorso di trasformazione digitale come i veri attori del sistema dell’innovazione nella sua via italiana, attribuendo loro il medesimo interesse comunicativo, le stesse corsie preferenziali burocratiche e le medesime risorse speciali attribuite a start-up e PMI tecnologiche.
>>>Il documento delle proposte di Confartigianato in formato pdf è disponibile cliccando QUI
>>>Le pagine della campagna stampa di Confartigianato, rivolta ai candidati, sono disponibili cliccando i due link: soggetto 1, soggetto 2