19 Dicembre 2024, h. 11:40

STUDI – Gli squilibri del prelievo degli oneri sul prezzo dell’elettricità penalizzano le MPI italiane. Il focus su Quotidiano Energia

Le disparità del prelievo degli oneri generali di sistema sulle micro e piccole imprese (MPI) mette a rischio la competitività del made in Italy, considerato che l’Italia è il primo paese Ue, davanti alla Germania, per occupati nelle MPI manifatturiere.

L’impatto dello squilibrio sul prelievo per oneri sui consumi di energia elettrica sono esaminati nell’articolo ‘Italia prima nella Ue per oneri e accise sul kWh per le Mpi a firma di Enrico Quintavalle, Responsabile Ufficio Studi e Valentina Bagozzi, Responsabile Mercato Energia ed Utilities di Confartigianato pubblicato questa settimana su QE-Quotidiano Energia. Qui per i grafici e la tabella proposti nell’articolo.

Secondo i dati di Arera, nel 2023 il gettito per gli oneri di sistema ammonta a 8,2 miliardi di euro – di cui l’83,0% sui clienti non domestici – con un sistema di prelievo per unità di consumo fortemente regressivo, che penalizza le piccole imprese italiane in modo più accentuato dei competitor europei. Le imprese in bassa tensione determinano il 34,0% dell’energia prelevata dalle imprese del settore non domestico, ma pagano il 50,3% degli oneri, comprendendo il finanziamento del 38% di 1,1 miliardi di euro di agevolazione per le imprese a forte consumo di energia elettrica, di cui solo lo 0,3% è beneficiato dalle imprese in bassa tensione.

La presenza di un eccessivo e squilibrato prelievo è confermata dall’analisi di dati Eurostat, da cui emerge che nel primo semestre del 2024 in Italia il peso di oneri e accise è pari al 27,1% sul prezzo dell’energia elettrica (al netto dell’Iva), una quota quasi doppia alla media Ue del 15,8%. L’Italia è il primo tra i 20 paesi dell’Eurozona per carico fiscale e parafiscale sul chilowattora, con un peso ampiamente superiore a quello pagato dalla omologhe in Germania (15,1%), Spagna (12,3%) e Francia (8,0%). Nel confronto con la media europea, il peso di oneri e accise in Italia è fortemente svantaggioso nelle classi di consumo delle micro e piccole imprese (fino a 2.000 MWh all’anno), è in equilibrio per consumi tra 20.000 e 70.000 MWh mentre diventa relativamente vantaggioso per le imprese con i consumi più elevati. Di conseguenza a tale andamento, il carico fiscale e parafiscale sull’elettricità acquistata dalle imprese nella prima classe di consumo (fino a 20 MWh, classe IA) è 15,8 volte quello nella classe di consumo più elevata (oltre 150.000 MWh, classe IG), ampiamente superiore alle 4,6 volte registrate nella media Ue, al 7,4 volte della Germania e alle 10,5 volte della media Eurozona.

Questa “insostenibile pesantezza” degli oneri per le MPI, già segnalata un anno fa (QE 28/12/2023) si traduce all’interno della famiglia degli usi produttivi in un effetto di spiazzamento competitivo che favorisce i grandi a discapito dei piccoli. Nel mese di ottobre, ad esempio, una piccola tessitura, che nella propria quota per oneri deve pagare : a) i propri oneri generali del sistema elettrico; b) quelli non riscossi da venditori “efficienti”; c) le agevolazioni degli elettrivori (e a breve anche gli impianti alimentati da fonti rinnovabili di quest’ultimi, stimati in ottocento milioni di euro per l’anno 2025, quando, tanto per dare il senso delle proporzioni, per la sanità pubblica si sta facendo fatica a trovare un miliardo) si è trovata in bolletta uno “zaino” pari a 52 euro e 45 centesimi a megawattora; la stessa identica tipologia di tessitura ma di dimensioni maggiori, “elettrivori”, stesso codice ATECO, stesso mercato, addirittura potenzialmente concorrente rispetto alla prima, nello stesso mese ha potuto correre molto più leggera perché il suo non è uno zaino ma una borsetta, pari a sette euro e quarantasei centesimi a megawattora. Il tessile rappresenta uno di quei settori in cui il made in Italy è giustamente famoso e celebrato nel mondo; riconoscere la centralità delle piccole imprese nel made in Italy equivale allora a sbarrare la strada ad ulteriori misure che fanno pagare la decarbonizzazione in bolletta: perché ogni misura per la transizione energetica che si carica sulle fatture elettriche non fa male al Bilancio dello Stato, ma ferisce pesantemente quel tessuto di piccole e piccolissime imprese spesso definite nella retorica pubblica, la spina dorsale del Paese.

La malsana abitudine a rivolgersi alla bolletta come strumento occulto per manovre economiche è un vizio tuttavia difficile anche solo da contenere; tra le new entries a breve si farà spazio il Cold Ironing, uno sconto sugli oneri, finalizzato alla decarbonizzazione del trasporto merci via mare, di cui beneficeranno gli armatori delle navi, escluse le imbarcazioni private da diporto.

La necessità e l’urgenza di intervenire sulle attività più inquinanti, è improcrastinabile, come gli eventi climatici estremi di Valencia da ultimi, o le alluvioni in Emilia-Romagna e in generale il clima torrido delle ultime estati sono lì a ricordarci. Ma creare un flusso di risorse dalle famiglie/piccole imprese agli armatori delle navi amplifica le già pesanti distorsioni e produce una serie di effetti negativi collaterali di cui non si sente eufemisticamente l’esigenza.

Esiste cioè un tema di accettazione dei sacrifici imposti alla collettività che passa anche attraverso la scelta degli strumenti. Se si chiedesse a famiglie e piccole imprese di contribuire tramite le proprie bollette alla piantumazione di alberi nelle città, da molti ritenuto lo strumento più efficace e veloce nell’abbassamento delle temperature estive nei centri urbani, sarebbe ragionevole immaginare una risposta alternativa capace di generare una minore perplessità rispetto a quella determinata dal Cold Ironing.

La lotta al cambiamento climatico è una sfida collettiva che si vince, come tutte le sfide collettive, se e nella misura in cui ci sarà una visione capace di coinvolgere tutti, per la parte che spetta e di far comprendere che non c’è altra via perché se si perde, si perde tutti.

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