16 Settembre 2015, h. 15:00
L’Italia perde la maggior quota di valore aggiunto nazionale nell’export: – 6,5% dal 2000
Il fenomeno nella globalizzazione ha modificato profondamente la creazione di valore nelle filiere produttive. A tal proposito il confronto internazionale disponibile per otto Paesi Ue evidenzia che nell’ultimo anno disponibile (il 2011) il contenuto di valore aggiunto creato all’interno del Paese dall’export in Italia è pari al 73,5%, inferiore al 77,0% del Regno Unito, al 75,6% della Romania, al 74,9% della Francia e al 74,5% della Germania; la quota dell’Italia è più alta del 73,1% della Spagna, del 70,8% della Svezia e del 56,4% dell’Irlanda. Più preoccupante l’esame della dinamica di tale quota che tra il 2000 e il 2011 registra in Italia il decremento più ampio, scendendo nel periodo di 6,5 punti contro il calo di 5,3 punti della Germania, di 5 punti del Regno Unito. Nell’interpretazione del confronto va peraltro evidenziato che tra il 2000 e il 2011 le esportazioni a prezzi correnti in Germania e Regno Unito sono salite a ritmo doppio rispetto all’Italia (+85% contro +39%).
In valore assoluto il calo di contributo al valore aggiunto domestico vale per l’economia italiana 28,9 miliardi di valore aggiunto, pari all’1,8% del Pil.
Sul fenomeno della perdita di valore creato in Italia pesa la delocalizzazione produttiva. A tal proposito va segnalato che sono 6.445 le multinazionali manifatturiere a controllo nazionale localizzate all’estero, con 836.631 addetti. Le intersezioni produttive nelle filiere globali rappresentano una specifica minaccia alla tutela di un prodotto ‘Full made in Italy’. A tal proposito si osserva il 9,1% del fatturato delle imprese estere manifatturiere a controllo nazionale è esportato in Italia, con punte in alcuni settori tradizionali del made in Italy quali le Industrie tessili e confezionamento di articoli di abbigliamento, in pelle e pelliccia con il 51,2%, Fabbricazione articoli in pelle e simili con il 42,2%, Fabbricazione di mobili e altre industrie manifatturiere 24,9% e Industrie alimentari, delle bevande e del tabacco con il 13,9%.
In questa prospettiva pesa la diminuita importanza del mercato domestico per i grandi gruppi, come evidenziato da una recente analisi di Mediobanca: “i maggiori gruppi manifatturieri italiani con organizzazione multinazionale si stima abbiano realizzato nel 2014 ricavi domestici pari al 10% del giro d’affari complessivo. La quota estera (90%) è derivata per il 24% da attività esportativa e per il 66% dalle vendite di insediamenti ubicati oltre frontiera (“estero su estero”).” (Mediobanca “Dati cumulativi di 2055 società italiane”, edizione 2015, pagina XII).
Variazione 2000-2011 della componente domestica del valore aggiunto incorporati nell’export
(Variazione assoluta in punti percentuali – Elaborazioni Ufficio Studi Confartigianato su dati Istat di fonte Ocse-Omc)
Dinamica esportazioni 2000-2011
(Variazione % cumulata a valori correnti in valuta nazionale – Elaborazioni Ufficio Studi Confartigianato su dati Commissione europea)
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