16 Giugno 2011, h. 13:14
ASSEMBLEA CONFARTIGIANATO – Sintesi della relazione del Presidente Giorgio Guerrini
La crescita stenta a riprendere, il sistema economico soffre ancora e manca la risposta efficace della politica
La crisi sarà anche passata, ma la crescita stenta a riprendere, il sistema economico italiano soffre ancora: non è mancanza di ottimismo, ma realismo di imprenditori seri.C’è un quadro di forte difficoltà caratterizzato da tre elementi chiave – i prezzi delle materie prime, la finanza di impresa e la fiscalità – in un Paese che continua a produrre ricchezza ma le cui difficoltà sono oggettive e verificabili. A fronte di tutto questo ha assunto evidenza la mancanza di una risposta efficace della politica, che noi vediamo invece come strumento principale per collegare le scelte di governo con le istanze, le voci, le vite della gente e delle imprese.
Serve la riforma della legge elettorale per restituire agli elettori la possibilità di scegliere i propri rappresentanti
Questa situazione ci fa invocare una riforma della legge elettorale che restituisca agli elettori la possibilità di scegliere i propri rappresentanti: eletti e non nominati, questo è lo slogan che vogliamo promuovere, convinti che ciò significhi ascolto e cura delle istanze della gente, responsabilità e trasparenza, verifica e confronto. In una parola, “buona politica”. Così come affermiamo che una buona politica si pone responsabilmente il problema di far scendere i propri costi, invece di far assistere il Paese alla loro continua lievitazione.
No a una ‘taglia’ unica delle imprese
Assistiamo, poi, alla nascita o al ritorno di erronee quanto presuntuose posizioni, che vorrebbero imporre al sistema economico una taglia dimensionale unica delle imprese studiata a tavolino da professionisti della teoria. Gli imprenditori, invece, chiedono semplicemente di poter continuare a svolgere la propria attività, senza sentirsi costretti a crescere per forza. Si può diventare grandi rimanendo piccoli, rimanendo leggeri, di una leggerezza che si nutre di flessibilità, di creatività, di forza della persona, di relazioni e di reti. È il mercato che decide e premia la dimensione giusta per competere. E gli artigiani, i piccoli imprenditori sanno competere insieme facendo gruppo, facendo squadra e combattendo così ad armi pari con concorrenti ben più grandi. Il modello di sviluppo che noi difendiamo è ben collaudato, si ispira ai principi di solidarismo e mutualità e ha prodotto risultati concreti ed efficaci come i consorzi fidi per l’accesso al credito, gli enti bilaterali per la gestione di un welfare attivo, oltre alle forme di collaborazione tra imprese per meglio affrontare la competizione economica, come i distretti produttivi e le reti d’impresa. Siamo stati tra i primi a sperimentare questi strumenti che oggi vengono indicati dai più come la strada maggiormente efficace per recuperare competitività. Noi crediamo nella crescita economica, senza confonderla con la crescita della taglia aziendale.
Per le imprese un habitat poco favorevole
Ciò che deve cambiare non sono le dimensioni delle imprese, bensì le condizioni di un habitat troppo poco favorevole. L’impresa infatti non è alleggerita nei fattori di contesto: burocrazia, credito, fisco. Non è sostenuta da un sistema formativo e di istruzione in grado di fornire forze immediatamente impiegabili. Non percepisce attorno a sé la considerazione del ruolo che sente invece di avere, soprattutto in questo frangente, in quanto leva concreta per lo sviluppo del Paese. Sente invece la fragilità del terreno su cui si muove, data da un sistema Paese in cui debito pubblico e spesa pubblica crescono assieme all’età della popolazione ed alla domanda di assistenza e previdenza, generando rigidità di bilancio e insufficienza delle politiche di sviluppo.
Contro la burocrazia azioni troppo timide e che assomigliano a ‘tela di Penelope’
Le azioni fatte per liberare le imprese dalla burocrazia inutile, in molti casi o sono troppo timide, o fanno fare un passo avanti e due indietro, perché mentre si toglie un adempimento burocratico, ne compaiono di nuovi, anche di grande impatto e dalla portata ancora non completamente chiarita, come il SISTRI. La mancanza di un impegno coeso e convinto di tutto il Governo e di tutti i livelli di governo è il limite evidente delle politiche di semplificazione finora adottate e, certo, le rende meno incisive rispetto alle attese degli imprenditori, facendole assomigliare ad una “tela di Penelope”, anche considerando gli interventi di semplificazione promossi dallo Stato centrale e sovente vanificati dalla regolamentazione e dalla prassi amministrativa regionale e locale.
La politica imiti gli sforzi degli imprenditori: Pmi protagoniste del boom dell’export made in Italy. Ogni giorno nascono 428 artigiani.
Noi riteniamo necessario che la politica, gli amministratori pubblici, chi ha responsabilità di governo, guardino al Paese reale ed attingano all’esempio della gente normale che ogni giorno lavora mantenendo alto il valore economico dell’Italia nel mondo. I risultati dei loro sforzi si vedono: nel 2010 l’Italia ha venduto all’estero prodotti manifatturieri per un valore di 322 miliardi. E oltre la metà delle esportazioni italiane è stata realizzata proprio da piccole e medie imprese. Nei primi tre mesi di quest’anno il nostro export è aumentato del 18,4% rispetto allo stesso periodo del 2010. E nel made in Italy che vola sui mercati mondiali c’è l’anima e il lavoro di più di 350.000 imprese artigiane manifatturiere. Il Paese reale è quello in cui ancora oggi ogni giorno nascono 428 imprese artigiane. Aziende dietro le quali ci sono persone normali che, insieme alle proprie famiglie, scommettono su un’idea d’impresa, su un progetto di vita. Il Paese reale è quello che tra il 2009 e il 2010 ha visto aumentare di 32.160 imprenditori sotto i 40 anni il numero dei giovani artigiani.
Aumentano i prezzi delle materie prime, il costo del denaro, la pressione fiscale: tensioni che preoccupano cittadini e imprese
In questa prima parte del 2011 si registrano tensioni che generano scricchiolii nella sostenibilità del sistema e che preoccupano i cittadini e le imprese del nostro Paese. Mi riferisco al forte incremento dei prezzi delle materie prime, cresciuti su base annua (in dollari) del 31,9%. Mi riferisco al costo del denaro. L’aumento di aprile dei tassi di riferimento della BCE determinerà un maggior costo per le imprese di 2,5 miliardi di euro, di cui 472 milioni a carico delle aziende con meno di 20 addetti. Mi riferisco alla pressione fiscale, pari al 42,6% del PIL, ma che, se consideriamo l’incidenza del sommerso, arriva in termini effettivi al 51,3%.
Servono interventi più incisivi per rilanciare la competitività italiana.
Guardate, guardiamo tutti al Paese reale e scopriremo che agli sforzi e ai sacrifici di tanti eroi normali spesso non corrisponde altrettanto impegno da parte di chi dovrebbe sostenere il rilancio della nostra economia. Certo, Ministro Tremonti, non ci sfugge il lavoro fatto per tenere in ordine i conti pubblici ed evitare all’Italia le drammatiche derive che hanno coinvolto alcuni Paesi europei. La stabilità è come la salute: ci si accorge del suo valore quando manca! Abbiamo apprezzato la chiarezza, il rigore ed il realismo contenuti nel Documento di Economia e Finanza che traccia le prospettive per garantire il pareggio di bilancio per il 2014; siamo comunque convinti della necessità di interventi più incisivi per rilanciare la competitività italiana.
I costi delle mancate riforme: le aziende sprecano 60 giorni lavorativi l’anno in burocrazia; 1 miliardo di euro i maggiori oneri per ritardi pagamento della P.A; tariffe servizi pubblici aumentate del 54,2% in 10 anni; 1.108 giorni per un processo civile.
Crediamo che ci siano ampi margini per ridurre la spesa pubblica improduttiva, per eliminare gli sprechi e per modificare le condizioni che oggi vincolano le imprese e condizionano la ripresa economica. Penso, ad esempio, a quante volte siamo stati costretti a denunciare il tempo e le risorse sprecati dagli imprenditori per compilare scartoffie burocratiche inutili per noi e per la stessa Pubblica Amministrazione che le richiede. E, purtroppo, anche oggi dobbiamo registrare che alle aziende italiane gli adempimenti amministrativi continuano a costare molti miliardi e ogni impresa artigiana dedica 60 giornate lavorative l’anno per gestire i rapporti con gli uffici pubblici.
Ancora una volta va ricordato che i tempi di pagamento della Pubblica Amministrazione nei confronti delle imprese fornitrici di beni e servizi sono il triplo rispetto alla media europea e che alla filiera dell’artigianato questo malcostume costa oltre 1 miliardo di euro di maggiori oneri finanziari. Un fenomeno, questo, che trascina e “giustifica” i ritardi di pagamento delle imprese grandi verso le piccole, che peraltro hanno limitati spazi di reazione, visti i vincoli di mercato e la paura di perdere clienti e committenti. Non va meglio sul fronte della giustizia civile: per veder riconosciuti i propri diritti bisogna aspettare in media 1.108 giorni, vale a dire 3 anni e 13 giorni: tanto dura un procedimento in un Tribunale ordinario.
Che dire, poi, dei costi su cittadini e imprese della mancata liberalizzazione dei servizi pubblici locali? Più volte annunciata in modo bipartisan dagli ultimi governi – sia di centro destra, sia di centro sinistra – ma mai realizzata, col risultato che, tra il 2000 e il 2010, le tariffe relative ad acqua, rifiuti e trasporti, potendo sottrarsi alle regole del mercato, sono cresciute del 54,2% contro il 23,9% del tasso di inflazione. Abbiamo conosciuto in passato privatizzazioni senza liberalizzazione: non è questo ciò che ci interessa!
Tre riforme da fare subito: fisco, giovani e lavoro, sussidiarietà
Poche riforme. Il tempo è ridotto e le risorse anche. Concentriamoci dunque su tre obiettivi: abbassare la pressione fiscale e rendere più semplice e meno vessatorio pagare le tasse; avvicinare i giovani al mondo del lavoro; utilizzare l’incredibile forza sociale della piccola impresa accreditando un sistema di sussidiarietà in grado di rispondere ai bisogni delle comunità.
Fisco – Sui contribuenti italiani 54 miliardi di maggiori imposte rispetto alla media Ue. Gli imprenditori sprecano in burocrazia fiscale 36 giorni lavorativi l’anno, il 43% in più dell’Ue. Serve riequilibrio della pressione fiscale su imprese e lavoro, meno adempimenti, più fiducia tra Stato e cittadini
Noi crediamo in una riforma del fisco che abbia l’obiettivo di consolidare il rapporto di reciproca fiducia e rispetto tra contribuenti ed amministrazione finanziaria. I cittadini e gli imprenditori devono essere messi nella condizione di adempiere a norme chiare, semplici e precise. Crediamo in uno Stato autorevole, mai autoritario, che, utilizzando le innumerevoli informazioni contenute anche nelle banche dati di cui dispone, sappia selezionare i contribuenti su cui incentrare la propria attività ispettiva.
Crediamo in una riforma che riduca la pressione fiscale, che la riequilibri a favore del lavoro e dell’impresa, che allinei la tassazione delle rendite ai livelli europei. Non dimentichiamo che in Italia il carico tributario è superiore di 3,5 punti di PIL rispetto alla media europea, pari a 54 miliardi di euro di maggiori imposte per i contribuenti italiani. Ma noi non vogliamo una riforma fiscale a tutti i costi: siamo per un riequilibrio della tassazione a favore delle imprese e del lavoro, per un allineamento della tassazione delle rendite a quella europea, non siamo per un salto nel buio spinto da fretta e tatticismi politici. Ma non è solo una questione di quanto, bensì anche di come paghiamo le tasse: gli imprenditori devono dedicare agli adempimenti di burocrazia fiscale 285 ore all’anno, equivalenti a circa 36 giorni lavorativi, il 43% in più rispetto alla media Ocse. Ministro, forse le tasse possono davvero essere “cosa buona e giusta” se vengono percepite come un equo versamento per aver garantiti dallo Stato servizi pubblici all’altezza dei bisogni dei cittadini. Se però questo scambio non avviene, diventa davvero incomprensibile e insostenibile una così elevata pressione e complessità fiscale.
Sulle imprese 29 Enti ‘controllori’: serve più coordinamento in attività ispettiva. Subito il federalismo per ridurre la pressione fiscale e migliori servizi pubblici.
Occorre sfoltire la mole di norme e adempimenti che si sono stratificati nel tempo e sui quali, una volta introdotti nell’ordinamento, non viene effettuata alcuna misurazione del loro reale utilizzo da parte dell’Amministrazione. Meno regole e più certezza nella loro applicazione: questo è l’obiettivo cui tendere, applicando anche un criterio reale di proporzionalità e gradualità per dimensione d‘impresa e per settore di attività. Chiediamo rapidità e decisione nel creare un coordinamento delle attività ispettive nei diversi ambiti: fisco, lavoro, ambiente, ecc., per evitare agli imprenditori il ‘supplizio’ dei reiterati controlli a tempi ravvicinati, quando addirittura non sovrapposti. Basti dire che oggi in Italia sono ben 29 gli enti che si occupano di controlli: 7 nell’ambito del lavoro e previdenza, 8 per l’ambiente, 4 per il fisco, altri 4 per agevolazioni e incentivi, 11 per la concorrenza, appalti e privacy, 9 per l’alimentazione.
Siamo convinti che un sistema di riscossione coattiva efficiente ed uniforme su tutto il territorio nazionale rappresenti un valore per il Paese a condizione che i contribuenti possano contare sulle più ampie garanzie di tutela dei propri diritti. Uno Stato autorevole deve, però, non essere il primo inadempiente quando si appresta ad esercitare un potere così invasivo come quello della riscossione coattiva. Mi riferisco, in particolare, ai cronici ritardi di pagamento della pubblica amministrazione e alla mancata attuazione della norma che dovrebbe permettere alle imprese di utilizzare i crediti vantati nei confronti della stessa P.A. per il pagamento dei debiti iscritti a ruolo. La sua attuazione sarebbe un primo tassello di una, comunque, necessaria rimodulazione del sistema della riscossione coattiva. Insistiamo a credere che il federalismo possa contribuire davvero ad una progressiva riduzione della pressione fiscale, ad avvicinare il prelievo alla spesa e quindi migliorarne l’efficienza in favore di migliori servizi per i cittadini e per le imprese, nonché a rendere responsabili del risultato gli amministratori. Anche i tempi sono importanti, però: è necessario che l’attuazione del federalismo avvenga rapidamente, ora che dopo anni di annunci si è giunti nella fase decisiva.
Accorciare la distanza dei giovani dal mondo del lavoro
Vogliamo continuare a credere che sia possibile ridurre la distanza che separa i giovani dal mondo del lavoro. Condividiamo la strada tracciata dal Ministro Sacconi con lo schema di decreto legislativo che rilancia l’apprendistato quale contratto tipico di ingresso nel mercato del lavoro per i giovani. Finalmente viene riconosciuto il ruolo formativo delle imprese e vengono rimosse le cause che finora ne hanno frenato le potenzialità, a iniziare dalla stratificazione normativa, dai vincoli burocratici e dai conflitti di competenza fra Stato e Regioni. L’apprendistato è il contratto attraverso il quale i giovani possono acquisire le competenze e le professionalità realmente richieste dal mercato del lavoro e, quindi, può avere effetti rilevanti in termini di incremento occupazionale. Sarebbe un risultato di non poco conto in un Paese come l’Italia dove oltre 2 milioni di giovani non studiano né lavorano ed allo stesso tempo il 26,7% della manodopera qualificata necessaria alle imprese risulta di difficile reperimento. Il problema dell’occupazione infatti va affrontato a partire dalla valorizzazione delle professionalità di cui le imprese hanno maggiore necessità. Oggi in Italia domina un modello culturale che contrappone il sapere al saper fare, la conoscenza teorica alle competenze tecniche e pratiche, con il risultato che molti giovani non trovano lavoro e le aziende non riescono ad assumere. Bisogna ristabilire pari dignità tra cultura classica e cultura manuale, tecnica, scientifica, imprenditoriale, creare un rapporto più stretto tra scuola e aziende, rilanciare la formazione professionale e l’apprendistato, procedere nella riforma dell’Istruzione Tecnica Superiore, orientare i giovani nella scelta della scuola in base alle richieste del mercato del lavoro.
Sussidiarietà e Stato ‘leggero’ per un nuovo Welfare
Fare le riforme significa anche restituire protagonismo alle parti sociali, con una forte iniezione di sussidiarietà di cui gli artigiani vantano esperienze ben consolidate. Noi crediamo in un’economia di mercato in cui lo Stato si fa leggero e con mano lieve accompagna gli imprenditori senza soffocarli. È una via che va percorsa per sostenere la propensione dei piccoli imprenditori a fare rete per conquistare nuovi mercati, per creare innovazione, per ottenere energia a prezzi competitivi, per accedere alla ricerca, per creare nuove forme di mutualità in campo previdenziale e sanitario. Bisogna rimettere la persona al centro del sistema di welfare e disegnare un modello globale e sostenibile che, come previsto dal nostro sistema di assetti contrattuali, possa spaziare dalla sanità integrativa alla previdenza, dalla formazione continua al sostegno al reddito, facendo leva sul federalismo, sull’esperienza della bilateralità e sulla contrattazione decentrata. È il modello che si ritrova nella proposta di Statuto dei Lavori, alla quale vogliamo dare il nostro contributo positivo.
Le priorità ‘a legislazione vigente’: credito, innovazione e ricerca, Mezzogiorno
Non c’è bisogno solo di riforme, anzi molto si può e si deve fare “a legislazione vigente”, per dare concretezza e stabilità ad un’azione di governo lungimirante, consapevole e attenta all’ascolto. Anche qui non vogliamo fare la “lista della spesa”, ma concentrarci sulle priorità: Credito, Innovazione e Ricerca, Mezzogiorno.
Il credito è l’ossigeno indispensabile alla vita delle imprese. Soprattutto in questa delicata fase in cui occorre sostenere la ripresa, chi chiede finanziamenti per realizzare un’idea imprenditoriale, per investire, produrre e dare lavoro deve poter trovare allo sportello bancario la necessaria fiducia, gli stessi criteri semplici ma rigorosi applicati dai Consorzi fidi, non rigidi automatismi e modelli matematici che aumentano i costi e le difficoltà di accesso al credito. Occorre rafforzare i rapporti di collaborazione tra Associazioni di Categoria ed Istituti bancari, al fine di valorizzare informazioni di natura qualitativa che derivano da una conoscenza diretta e quotidiana delle imprese. È con questo spirito che Rete Imprese Italia, insieme all’Abi, a Confindustria e ad Alleanza Cooperativa, ha presentato nei giorni scorsi al Commissario europeo Tajani e a breve lo farà anche al Commissario al mercato interno e servizi finanziari Barnier, una proposta con la quale si chiede che le nuove regole di Basilea 3 tengano conto della specificità del modello produttivo italiano.
Non vorremmo che l’applicazione di ratios meccanici e burocratici finissero per provocare l’ennesima restrizione di credito a danno dei piccoli imprenditori. Così come non vorremmo venissero stravolte la missione originaria e le modalità di funzionamento del Fondo di garanzia per le Pmi che deve rimanere uno strumento utile per agevolarne l’accesso al credito, soprattutto attraverso il supporto dei Confidi.
Analoga attenzione sollecitiamo sul tema degli strumenti per sostenere gli investimenti in innovazione, ricerca e sviluppo, leva strategica per la competitività del nostro sistema produttivo. È importante infatti affermare ed accreditare la peculiarità dell’innovazione nell’artigianato e nella piccola impresa, realizzata in modo tacito e continuo, con investimenti quasi sempre non distinguibili in specifiche voci di bilancio, né con deposito di licenze o brevetti. È un sistema che funziona e su cui si fonda il successo, tecnico, ma anche artistico e di design, del made in Italy: un valore tipico della piccola impresa che deve essere particolarmente considerato e valorizzato.
Desidero dedicare un capitolo particolare alla necessità di ridare speranza al Mezzogiorno e connetterlo al resto del Paese. Quanto dovremo aspettare per vedere ridotto il divario tra Nord e Sud dell’Italia? Non ci sembra normale – per fare due esempi emblematici – che, per andare da Roma a Palermo, nel 2011 il treno più veloce impieghi 34 minuti in più rispetto a quanto avveniva 36 anni fa, nel 1975. Né che per avviare un’impresa nel Mezzogiorno serva ben un terzo in più del tempo necessario nel resto del Paese.
Non è necessario trovare nuove ricette: da decenni parliamo di questione meridionale, le soluzioni sono chiare, definite ed è inutile ripeterle. Occorre solo un dettaglio: metterle in pratica. Lo Stato può e deve fare molto, soprattutto per affermare le precondizioni di ogni sviluppo: la legalità e la certezza.
Ci vuole un’azione corale: della politica, delle istituzioni, delle imprese, della gente comune, perché il Mezzogiorno d’Italia trovi in sé le forze e le motivazioni per il suo risveglio e il suo rilancio. Non è più tempo di dibattiti, di attese, di polemiche, di autocommiserazioni, di assistenzialismo, che non producono alcun risultato. È il momento del fare. Innanzitutto di far cessare il paradosso del sostanziale non utilizzo dei fondi comunitari che pure sono a disposizione: condividiamo con il Ministro Fitto la necessità di concentrare le risorse residue su grandi interventi interregionali.
Il Paese ha bisogno di politica, non di polemica: istituzioni, politica, società, economia lavorino assieme per il bene comune. Piccoli imprenditori pronti ad alimentare una nuova stagione di impegno civile, di lavoro e di coesione sociale.
Siamo convinti che l’obiettivo di riagganciare la ripresa economica sia alla nostra portata. Ma, affinché ciò avvenga, serve l’impegno condiviso a rifondare le basi di un patto di convivenza civile e di solidarietà. Il Paese intero ha bisogno di politica, non di polemica, non vogliamo più sentire questo assordante rumore di fondo di contrapposizioni e reciproci attacchi continui che lasciano fuori i problemi concreti. Così si perde tempo, si perdono risorse, si perdono i treni che ci possono portare fuori dalla crisi. Noi non facciamo politica, noi dialoghiamo e collaboriamo con la politica per il bene del Paese. A noi interessa che alle imprese e all’economia vengano dati segnali di certezza che ci consentano di uscire dalla visione di breve periodo, oggi che serve avere pensiero strategico e investire a medio-lungo termine per uscire dalla stagnazione. A noi interessa, infine, che ai giovani venga data prova che la classe dirigente del Paese corrisponde al loro bisogno di avere fiducia, prospettive, avvenire: vogliamo che possano vedere nei senior una guida autorevole ed un supporto discreto ma forte e sicuro. Anche da questa Assemblea si alza, quindi, l’appello alle Istituzioni ed a tutte le componenti della politica, della società e dell’economia, a lavorare assieme per la cura del bene comune. Noi piccoli imprenditori, noi maggioranza produttiva del sistema economico e sociale del Paese non ci tiriamo indietro: responsabilmente, senza “uscire dalle imprese”, offriamo il nostro contributo per alimentare una nuova stagione di impegno civile, di lavoro, di coesione sociale. Insieme si può fare, insieme si possono fare delle belle imprese.
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