9 Febbraio 2011, h. 15:40
I risultati del 2° Rapporto dell’Osservatorio Nazionale Distretti Italiani Grazie alla loro vitalità, nel 2010 i distretti sono usciti dalla crisi e fanno scuola: nell’export, nell’innovazione, nella sostenibilità e nella cooperazione. Gli imprenditori prevedono un 2011 migliore per il fatturato, non per l’occupazione Cosa fare per agganciare definitivamente la ripresa? Gli imprenditori hanno le idee chiare: più liquidità economica (con un nuovo patto banca-impresa), più cultura d’impresa, più personale qualificato, meno concorrenza sleale
“Gran parte dei distretti produttivi italiani nel 2010 ha tenuto alla congiuntura fortemente negativa, pur con trasformazioni strutturali e un ridimensionamento, in termini occupazionali oltre che di fatturato, importanti. I segnali, come l’export che ha ripreso a salire dopo valori sistematicamente negativi, sembrano indicare l’uscita definitiva dalla recessione. Tuttavia, la strada per un recupero effettivo delle posizioni perse appare piuttosto impervia. Se molti distretti mostrano grande vitalità, come nel caso dell’agroalimentare di San Daniele del Friuli, delle macchine tessili di Biella, dell’alimentare di Parma, dell’oreficeria di Arezzo, dell’abbigliamento di Rimini, della concia di Solofra, molti altri sono ancora in difficoltà, come il distretto delle macchine utensili di Piacenza, l’abbigliamento Sud abruzzese, le cappe aspiranti e gli elettrodomestici di Fabriano, il tessile-abbigliamento di Treviso. I dati 2010 segnalano una forte reazione alla crisi, con una considerevole accelerazione, che ha coinvolto tutti i settori, da metà fino alla conclusione dell’anno. Per il 2011 le imprese distrettuali prevedono aumenti di produzione e di vendite, a fronte di investimenti in crescita. I segnali di una ripresa robusta, quindi, si scorgono, ma non hanno ancora un carattere definitivamente sistemico”.
Valter Taranzano, presidente della Federazione dei Distretti Italiani, sintetizza l’esito del 2° Rapporto dell’Osservatorio Nazionale Distretti Italiani, che ha preso in esame l’andamento dei distretti nel corso del 2010, tracciando inoltre delle proiezioni 2011.
“Ciò che emerge dal 2° Rapporto – continua Taranzano – è l’evoluzione che stanno attraversando i distretti. Evoluzione caratterizzata da importanti trasformazioni organizzative realizzate dalle aziende. In primo luogo, la dimensione media delle imprese localizzate nei distretti tende ad aumentare ed è superiore rispetto alla media nazionale. In particolare, nel Nord-Est, dove maggiore è l’intensità dei distretti, le aziende grandi (con più di 50 milioni di fatturato) sono pari al doppio di quelle piccole (con meno di 10 milioni di fatturato). Alla luce di questa nuova realtà, registriamo una forte dispersione dei risultati delle imprese distrettuali. Le aziende migliori crescono sempre di più, mentre quelle marginali rischiano la chiusura. La differenza tra i due “poli” è determinata dalle strategie applicate: le imprese che registrano performance brillanti di bilancio sono quelle che, oltre a puntare sulla qualità di prodotto e sull’affermazione del marchio, hanno orientato gli investimenti sul controllo diretto dei canali distributivi, soprattutto all’estero. Da una parte, quindi, una reazione “creativa”, dall’altra evidenti sintomi di inadeguatezza.
Esaminati 101 distretti
Promotrice e coordinatrice del progetto, la Federazione dei Distretti Italiani per il 2° Rapporto dell’Osservatorio Nazionale Distretti Italiani si è avvalsa del lavoro congiunto di prestigiosi partner quali Confindustria, Unioncamere, Fondazione Symbola, Intesa Sanpaolo, Banca d’Italia, Fondazione Edison, Censis e Istat, come per l’edizione 2010, ai quali si sono aggiunti, da quest’anno, Confartigianato e Cna. Così facendo, la Federazione ha messo attorno ad un unico tavolo tutti coloro che lavorano, in varia misura, sui distretti e sulle loro dinamiche, realizzando un lavoro di raccolta dati e analisi unico nel suo genere.
Il 2° Rapporto dell’Osservatorio Nazionale dei Distretti Italiani ha messo sotto la lente d’ingrandimento 101 distretti (9 in più rispetto al 2010). Di questi, il 38% ha interessato il settore tessile-abbigliamento, il 22% l’arredo-casa, il 12% l’agroalimentare, il 26% l’automazione e metalmeccanica, il 2% la cartotecnica-poligrafici e l’1% la cultura.
Le imprese operanti nei distretti dell’Osservatorio sono circa 286.000, occupano 1,57 milioni di addetti, pari al 9% del totale delle imprese manifatturiere, con una dimensione prevalentemente piccola (il 98,3% non supera i 49 addetti, mentre l’85,5% non va oltre i 9 addetti) e realizzano un export pari a 75 miliardi di euro.
I distretti restano baluardi: capacità di adattamento e di flessibilità
Da tempo alcune analisi attribuiscono ai distretti italiani una sostanziale perdita di forza propulsiva e il conseguente avvio di una fase di ridimensionamento. Al contrario, l’Osservatorio segnala che tutto questo non sta avvenendo. Anzi, i distretti, o gran parte di essi, hanno risposto alla crisi riposizionandosi nei principali mercati di riferimento e hanno profondamente ridefinito le proprie strategie organizzative, mostrando così chiaramente il perpetuarsi di un modello flessibile, proattivo e, per molti aspetti, inesauribile.
E’ un modello a “tripla A”, ovvero “adattativo, affidabile, alternativo”, attraverso il quale le imprese dei distretti captano i possibili mutamenti della domanda e degli orientamenti del mercato e propongono innovazioni di prodotto o di processo, operando attraverso reti sempre più leggere di cooperazione a livello locale.
Se, dunque, la Cina o l’India, per citare i casi più noti, appaiono come importanti attori dello scenario internazionale, i distretti italiani non ne contrastano l’avanzata, ma si propongono come nuovi e affidabili interlocutori, tanto che la Cina è, ad esempio, al settimo posto come area di esportazione dei distretti industriali italiani, con probabilità di salire ulteriormente nella graduatoria dei principali mercati presidiati.
Incremento del fatturato, anche nelle previsioni 2011
Il 2° Rapporto dell’Osservatorio Nazionale dei Distretti Italiani, grazie a un sondaggio tra le aziende condotto da Banca d’Italia nell’autunno del 2010 e ai dati economici-finanziari forniti da Intesa Sanpaolo, evidenzia che le imprese distrettuali che hanno registrato un incremento del fatturato nei primi nove mesi del 2010 superano quelle che hanno accusato un calo (il saldo tra le risposte è di circa il 20%).
Inoltre, un’indagine condotta dal Centro Studi di Unioncamere per il 2° Rapporto dell’Osservatorio Nazionale Distretti Italiani su un campione di 1.500 aziende sottolinea che nel 2010 il 34,3% delle imprese ha registrato un incremento del fatturato rispetto al 2009 (era il 4% l’anno precedente), mentre quelle che hanno registrato un calo di fatturato sono state il 19,3%. Per il 2011 le imprese che prevedono un incremento del fatturato sono il 24%, il 69% indica una tenuta dei livelli raggiunti nel 2010 e soltanto il 7% una diminuzione.
Occupazione, diminuirà anche nel 2011
Nell’indagine di Unioncamere l’occupazione resta, invece, l’aspetto più problematico e preoccupante: se nel 2010 il 12% delle aziende dichiara di avere aumentato il numero di occupati contro il 28% che, invece, ha registrato una sensibile diminuzione, per il 2011 soltanto il 5,8% prevede un incremento degli occupati contro un 13,4% che dichiara l’intenzione di diminuire sensibilmente i suoi occupati (l’80,9% dovrebbe mantenere inalterato il livello occupazionale).
Il nodo dell’occupazione, secondo gli intervistati, va risolto in modo rapido, forse con azioni organiche distretto per distretto, che non si limitino solo al ricorso agli ammortizzatori sociali ma che contemplino forme di riqualificazione e reinserimento della forza lavoro manifatturiera, anche non necessariamente nello stesso settore.
L’export cresce più nei distretti che fuori
L’export brilla nel 2° Rapporto dell’Osservatorio Nazionale dei Distretti Italiani. Attraverso i dati della Fondazione Edison, infatti, registra che il 2010 è stato caratterizzato da un ritrovato slancio delle esportazioni dei distretti, con un’importante accelerazione nel secondo e nel terzo trimestre.
In particolare, le esportazioni dei 101 distretti nel periodo gennaio-settembre 2010 sono cresciute del 10,5% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Il settore della meccanica torna a spingere, con un incremento del 14,9%, seguito dall’abbigliamento-moda, protagonista di un buon recupero, tanto che è cresciuto del 10,8%. L’export dei distretti dell’arredo-casa, a sua volta, è salito del 5,8%, quello dei distretti dell’alimentare-vini del 4,7% e, infine, quello dei distretti hi-tech del 7,4%. Non sono più, dunque, solo i settori alimentare e hi-tech a controbattere la crisi, bensì tutti i comparti dell’eccellenza manifatturiera italiana. Tra i distretti con la crescita export maggiore si segnalano quello delle macchine industriali di Treviso (+43,1%), quello degli articoli in gomma e plastica di Bergamo (+40,8%), quello conciario di Santa Croce Santa sull’Arno (+36,3%).
Per la prima volta, dopo diversi anni, i distretti industriali hanno mostrato tassi di crescita superiori a quelli di aree non distrettuali (+16% contro 15,6%). Spicca, in particolare, il boom dell’export in Cina, dove i distretti hanno ottenuto performance di gran lunga migliori rispetto ai già buoni risultati del manifatturiero italiano (+81,6% contro +48,8%). E’ quindi salito ulteriormente il ruolo assunto dal mercato cinese: Cina e Hong Kong insieme si collocano ora al settimo posto nel ranking dei principali sbocchi commerciali e assorbono il 4,8% dell’export distrettuale.
In base a un’indagine del Centro Studi di Unioncamere, per il 2° Rapporto dell’Osservatorio Nazionale Distretti Italiani, anche le previsioni 2011 dell’export sono confortanti: il 30,6% delle imprese prevede un ulteriore incremento, il 64,5% nessuna variazione e soltanto il 4,9% una diminuzione.
Più fiducia tra gli imprenditori
Che le difficoltà siano tutt’altro che superate, comunque, affiora dalle interviste effettuate dal Censis per il 2° Rapporto dell’Osservatorio Nazionale Distretti Italiani. Interviste che hanno interessato 49 imprenditori dei distretti e 52 testimoni privilegiati operanti in una struttura intermedia (associazione di categoria, organizzazione sindacale, Camera di commercio) all’interno dei distretti. Ebbene, il 58% degli intervistati ha dichiarato che il loro distretto è in una fase di ridimensionamento, contrassegnata ancora dalla flessione del fatturato delle principali imprese, da perdite in termini occupazionali e da difficoltà sui mercati esteri. Va però sottolineato che alla fine del 2009 ben l’82% degli intervistati indicava il proprio distretto in una fase critica. Appare comunque cospicua la parte di chi rivede lo scenario in ripresa: quasi il 20% del campione ritiene che il distretto abbia recuperato le posizioni perse a causa della crisi, il 5% indica addirittura una fase di crescita e il 18% è convinto che, nonostante tutto, il distretto abbia mantenuto le proprie posizioni. Ancora più incoraggiante è il quadro relativo alle sole aziende. Solo il 24% parla di ciclo congiunturale ancora negativo (era il 35% nel 2009), mentre il 20% si trova in una situazione di stazionarietà, dunque in una condizione di sostanziale tenuta delle proprie posizioni; il 29%, invece, è in una fase di consolidamento e quindi di lento rafforzamento delle proprie attività e, infine, il 27% ha detto di essere in ripresa e crescita.
Non va sottovalutato, inoltre, il fatto che più di un quarto delle imprese contattate dal Censis fa presente di essere in una fase di netta ripresa del giro d’affari (era appena il 10% alla fine del 2009).
Occorre un patto banca-impresa
Quali sono ancora gli ostacoli da superare per agganciare saldamente la ripresa? Al riguardo, gli imprenditori hanno le idee chiare: scarsa disponibilità di liquidità finanziaria, difficoltà di ricambio generazionale, sia per i lavoratori che per gli imprenditori, mancanza di personale qualificato, concorrenza sleale di imprenditori stranieri.
In questa delicata fase congiunturale per gli osservatori è necessario mettere a punto un patto banca-impresa che, con un sistema premiante in termini di valutazione del rischio e assegnazione del rating, abbia l’effetto di produrre comportamenti innovativi e virtuosi da parte delle Pmi: più cultura imprenditoriale, più internazionalizzazione, più aggregazione. Un patto, che non sia calato dall’alto, ma che possa nascere dal basso provando ad incrociare una nuova politica del credito con un’evoluzione dei comportamenti delle piccole aziende.
Contraddizione sulla produzione specializzata
Un altro aspetto interessante emerso dalle interviste è la cultura d’impresa. Quasi il 60% degli interpellati ha indicato tra le priorità dei cambiamenti l’innalzamento della qualità della classe imprenditoriale.
Si prefigura, in questo modo, un’impresa più sofisticata rispetto al passato, non più concentrata in modo esclusivo sull’innovazione del prodotto, bensì capace di guardare anche al mercato in cui tale prodotto sarà collocato.
Emerge però una contraddizione tra l’esame dei dati ufficiali e quanto dicono gli imprenditori. Infatti, secondo le analisi dei bilanci delle aziende, effettuate da Banca d’Italia, stiamo assistendo a una progressiva riduzione della specializzazione settoriale dei sistemi industriali. Il comparto “tessile-abbigliamento”, ad esempio, vede calare al proprio interno la quota di fatturato assorbita dal comparto di specializzazione principale di circa 10 punti percentuali al Nord Ovest e al Centro e di oltre 6 punti al Nord Est. Nei settori delle calzature, del mobilio e dei minerali non metalliferi, la riduzione è meno intensa ma significativa (5/6 punti).
Chiamati dal Censis a rispondere sui principali fenomeni di cambiamento in corso nelle aziende dei distretti, al contrario, quasi la totalità degli imprenditori (92%) ha indicato che l’orientamento è verso nicchie di mercato molto specializzate, attraverso strategie che quasi esasperano la qualità e la personalizzazione del prodotto, mentre solo l’8% dice che l’azienda è indirizzata verso mercati di massa con prodotti generici.
Crescono le reti d’impresa
E’ sempre più intenso nei distretti il dibattito sulla funzione e sul valore delle reti d’impresa, incentivate dai Contratti di rete, previsti dalla legge 33/2009.
Al riguardo, molto saldi appaiono i legami funzionali tra imprese all’interno dei distretti, specie nel caso delle cosiddette “reti di produzione”, che si configurano, in larga misura, come rapporti di subfornitura dagli intrecci sempre più articolati. Altre forme di collaborazione vanno dai consorzi per l’export e l’internazionalizzazione agli acquisti in comune di materie prime.
Nessuna contrapposizione o esclusione, quindi, tra reti e distretti, bensì uno strumento in linea con l’esigenza di maggiore flessibilità.
Le previsioni per il breve periodo indicano l’adesione di circa il 27% delle imprese distrettuali a qualche forma di collaborazione formale che le inserisca in un network.
Iniziano, infine, a farsi strada le reti tra aziende distrettuali per attività di smaltimento rifiuti e per la depurazione.
La qualità della vita nei distretti
Per l’Osservatorio Nazionale dei Distretti Italiani, la Confartigianato ha valutato la qualità della vita nei distretti attraverso 41 indicatori territoriali raggruppati in 11 ambiti. In particolare l’indice ha preso in considerazione indicatori sulla densità imprenditoriale, sul lavoro, sulla fiscalità, sulla concorrenza sleale, sul rapporto con la burocrazia, sul credito, sulla giustizia civile, sulle condizioni di legalità e conflittualità, sulle utilities e i servizi pubblici locali, su elementi di capitale sociale del territorio e sullo stock infrastrutturale.
Ecco la classifica finale, cioè laddove esistono le condizioni più favorevoli per “fare impresa”.
1) Distretto del Porfido e delle pietre Trentine (indice 700);
2) Distretto del Mobile della Brianza (691);
3) Distretto dell’Abbigliamento Gallaratese, Asse del Sempione e Distretto della Metallurgia delle Valli Bresciane (ex aequo, 685);
5) Distretto della Nautica-ICT-Biotecnologie e Distretto del Caffè, entrambi in provincia di Trieste, Distretto Metalmeccanico e Distretto del Tessile, entrambi nella provincia di Lecco (ex aequo, 684);
9) Distretto Tessile e Abbigliamento di Como (680);
10) Distretto Confezioni e Abbigliamento della Bassa Bresciana (677).
A livello di macrosettori, sono i distretti del Sistema Casa a mostrare le migliori condizioni ambientali per le imprese, con un indice pari a 645. Una più accentuata riduzione dell’indice si riscontra per i distretti del Sistema Moda, con un valore medio di 627 e per quelli dell’Alimentare, dove si registra il valore minimo di 604.
Distretti e sostenibilità
Una nuova propensione che va delineandosi tra i distretti è l’innovazione in materia di sostenibilità ambientale. In particolare, Fondazione Symbola, per il 2° Rapporto dell’Osservatorio Nazionale dei Distretti Italiani, ha analizzato a fondo cinque “casi”: il Distretto Agroalimentare di San Daniele, il Distretto della Carta di Frosinone, il Distretto della Ceramica di Sassuolo-Scandiano, il Distretto della Concia di Santa Croce e il Distretto del Mobile di Livenza.
Nei distretti analizzati, in tempi e modalità differenti, è stata avviata una particolare attenzione ai principi della sostenibilità dello sviluppo, in cui vengono coniugate azioni preventive e iniziative di ascolto e concertazione, mentre cresce una domanda orientata alla valutazione dell’efficacia degli interventi di tutela e-o mitigazione degli impatti, che si manifesta attraverso nuovi sistemi gestionali. Dai casi descritti è poi emerso che la sfida ambientale sta poco a poco diventando un importante fattore di competitività, un valore aggiunto per le produzioni italiane, specie in un momento di crisi economica come quello attuale, nonché un fattore economicamente conveniente.
Tutti i contenuti del 2° Rapporto dell’Osservatorio Nazionale Distretti Italiani sono consultabili nel portale dedicato: http://www.osservatoriodistretti.org
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