17 Maggio 2010, h. 00:00
Dopo la SIAE e d il Consorzio Fonografici, anche la RAI punta le radio e le televisioni degli artigiani italiani
Il 3 gennaio 1954 gli italiani assistevano alla prima trasmissione Rai. Quella stessa Rai che oggi chiede il versamento di un abbonamento speciale, diverso da quello domestico, agli imprenditori che hanno un televisore o una radio nel proprio laboratorio, negozio o officina. Che lo accendano o meno, che funzioni o no, non importa, la Rai vuole quei soldi. La ragione? Una legge, o meglio, un regio decreto del 1938. Sedici anni prima di quel 3 gennaio 1954. Una storia paradossale, assurda per certi versi. Nato come una vera e propria tassa sul possesso di un televisore o di una radio fuori dalle mura domestiche, l’abbonamento speciale va dai 195 euro annui richiesti proprio ad artigiani, circoli e studi professionali, ai 6.500 euro imposti agli alberghi di lusso con più di 100 camere da letto. Chi non paga, rischia una sanzione amministrativa che va dai 100 ai 516 euro. Un vero e proprio salasso, soprattutto se si considera che oltre alle pretese di Mamma Rai, gli imprenditori già versano i diritti d’autore alla SIAE, mentre restano in attesa del pronunciamento del tribunale di Milano sulle richieste avanzate anche dal Consorzio Fonografici, con cui Confartigianato sta combattendo una battaglia legale contro un’ulteriore tassa imposta ad artigiani e piccoli imprenditori. Nel frattempo, chi non vorrà pagare l’abbonamento speciale può presentare una regolare “denunzia” alla RAI, come si legge nel testo del regio decreto del 1938, avendo cura di riporre il proprio televisore, anche se rotto o non funzionante, dentro un sacco di iuta e di sigillarlo con fil di ferro ed un piombino timbrato. In quel sacco di iuta, però, andrebbe chiuso quel regio decreto nato sedici anni prima dell’inizio delle trasmissioni Rai.
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