15 Ottobre 2009, h. 00:00

Il “salva infrazioni” soddisfa Confartigianato

Destini contrapposti per il Made in Italy e per i servizi pubblici locali, l’uno fiore all’occhiello dell’Italia imprenditoriale che rischia e che produce, l’altro simbolo negativo di un Paese a “concorrenza limitata” che è passato senza soluzione di continuità dal monopolio pubblico a quello privato. Settori distanti anni luce l’uno dall’altro, accomunati soltanto dall’essere oggetto di due distinti articoli di uno stesso provvedimento. Il provvedimento in questione è il decreto legge 25 settembre 2009 numero 135, più noto come decreto “salva infrazioni”, attraverso cui l’Italia ha dato adempimento ad alcuni obblighi comunitari (i cui termini sono già scaduti) e ad alcune sentenze della Corte di Giustizia europea. Utilizzando lo strumento del “salva infrazioni”, il Governo, con coraggio, ha affrontato contemporaneamente le due questioni che da anni giacevano inevase sui tavoli della politica, creando i presupposti per tutelare con più efficacia le migliori produzioni manifatturiere italiane, attraverso nuove norme che restringono il campo di applicazione del marchio più conosciuto e apprezzato al mondo – Made in Italy, appunto – ai soli prodotti realizzati interamente in Italia, e per avviare il processo di liberalizzazione dei servizi pubblici locali con nuove regole che, se proprio non abbattono le staccionate innalzate attorno alle aziende municipalizzate, almeno contribuiscono a ridurne l’altezza. In un caso e nell’altro i vantaggi per i consumatori e per le piccole imprese sono evidenti: una etichetta che identifica in senso univoco il luogo dove un prodotto è stato realizzato mette al riparo i consumatori da spiacevoli sorprese e valorizza il lavoro svolto da artigiani e piccoli imprenditori depositari di quella complessa ricetta fatta di know how, gusto, qualità, tradizione e innovazione (per farla breve di tutti quei valori condensati nell’etichetta Made in Italy), una ricetta irripetibile e soprattutto non delocalizzabile. Quanto ai servizi pubblici locali, dall’effettiva liberalizzazione del settore deriverebbero una maggior qualificazione dell’offerta e un’occasione di sviluppo per le imprese, e per i consumatori, un abbassamento del livello delle tariffe. In entrambi i casi, si tratta di treni che non si possono perdere. Ne è convinta Confartigianato che da tempo ha messo i due argomenti al centro della propria azione politica. E i risultati si vedono. Sulla vittoria di Confartigianato per la tutela del vero Made in Italy, ovvero dei prodotti realizzati interamente in Italia, negli ultimi due mesi sono stati spesi fiumi di inchiostro. Un flusso incessante che anche la Confederazione ha contribuito ad alimentare con due campagne stampa nazionali realizzate per allontanare dal Governo la tentazione di dire sì alle richieste dell’industria, almeno di quella parte che delocalizza le produzioni, che spingeva per mantenere lo status quo, ovvero per continuare a utilizzare la definizione Made in Italy anche per i prodotti realizzati in Cina, in Corea, in Turchia. Insomma, in luoghi ben lontani dal Bel Paese. Un tentativo che non è andato a buon fine, sia per i continui interventi di Confartigianato, che per la grande fermezza manifestata dal Ministro dello Sviluppo Claudio Scajola. Delle iniziative per la liberalizzazione dei servizi pubblici locali contenute nel “salva infrazioni” si è parlato meno. E non perché si tratti di iniziative di poco conto, tutt’altro. La norma è ben fatta e allontana il sospetto di un’ennesima “prova tecnica di liberalizzazione”, dopo le molte degli anni passati. In pratica, non dovremmo essere di fronte a una nuova falsa partenza. Almeno questo è l’attesa del Presidente di Confartigianato Giorgio Guerrini che a proposito ha detto: “E’ la volta buona per passare dalla politica degli annuncia ai fatti”. Forse, delle iniziative per la liberalizzazione dei servizi pubblici locali si è parlato di meno perché, mentre per la nuova normativa a tutela del Made in Italy la strada sembra ormai imboccata, per la liberalizzazione delle !mille piccole Iri” disseminate in tutta Italia, bisognerà attendere ancora del tempo. Precisamente fino a gennaio del 2012 quando le nuove norme debutteranno ufficialmente. La tempistica dilatata, per il Presidente di Confartigianato Giorgio Guerrini, rappresenta la principale criticità di una norma nel complesso più che apprezzabile. “Ci possiamo permettere – ha osservato – , considerata anche la crisi in atto, di attendere quasi tre anni per vedere gli effetti di queste norme e per dare il via ad una riforma in grado di aprire il mercato dei servizi pubblici locali alla vera concorrenza?”. Un recente studio dell’Ufficio Studi di Confartigianato dà una risposta alla domanda retorica di Guerrini, concludendo che sarebbe opportuno accorciare il più possibile la road map del provvedimento. I numeri parlano chiaro: negli ultimi 5 anni tra luglio 2004 e luglio 2009, le tariffe dei servizi pubblici locali non energetici sono aumentate del 28% quasi il triplo del tasso del’inflazione cresciuto del 10,4%. In particolare, le tariffe dell’erogazione di acqua sono aumentate del 33,4%, quelle della quelle per la raccolta rifiuti sono cresciute del 29,6%, quelle dei trasporti pubblici su strada del 15% e le tariffe per i servizi di fognatura sono aumentate del 26,1%. Rincari ben superiori a quelli registrati nei Paesi dell’area euro, dove le tariffe dei servizi pubblici locali non energetici, tra luglio 2004 e luglio 2009, hanno fatto registrare una crescita del 16,6%.

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