5 Febbraio 2009, h. 00:00

Prodotti alimentari, la stangata è servita

Una tariffa che ha tutti i tratti di una tassa, importi che lievitano fino a diventare sessanta volte più pesanti e nessuna differenziazione tra micro, piccole e grandi imprese ed i relativi volumi d’affari. Agli operatori del settore alimentare non è affatto piaciuto il decreto legislativo 194/2008, la “traduzione” italiana del regolamento europeo CE 882/2004, che detta le direttive sulle modalità di “rifinanziamento dei controlli sanitari ufficiali eseguiti negli stabilimenti di produzione dalle autorità competenti, per verificare la conformità alle normative riguardanti i mangimi, gli alimenti e la salute ed il benessere degli animali”. O, più semplicemente, il cosiddetto “nulla osta sanitario”. Secondo l’Unione Europea, infatti, i Paesi membri, attuando la direttiva comunitaria, avrebbero potuto far pagare agli operatori del settore una tariffa per coprire le spese dei controlli su carne, bestiame e mangimi. Una quota che, secondo le intenzioni di Bruxelles, avrebbe dovuto tener conto della “tipologia d’impresa ed i relativi fattori di rischio”, ma, soprattutto, “degli interessi delle aziende del settore a bassa capacità produttiva”. Il decreto legislativo 194/2008, invece, prevede tutt’altro. A spiegarlo è Giacomo Deon, Presidente di Confartigianato Alimentazione: “I criteri vincolanti fissati dall’Unione Europea sono stati completamente disattesi con l’individuazione delle fasce quantitative e la determinazione degli importi dovuti, poiché vengono parificate aziende appartenenti a settori diversi con differenti gradi di rischio. Inoltre – aggiunge Deon – in via del tutto discrezionale, la normativa italiana ha esteso il pagamento della tariffa a tutte le aziende del comparto alimentare, prevedendo che nella prima fascia siano considerate alla stessa stregua imprese minime senza dipendenti con quelle che hanno capacità produttive di tipo industriale, penalizzando fortemente le imprese di piccole dimensioni”. Un decreto che sembra basarsi su una serie di valutazioni errate, incapace di cogliere la realtà imprenditoriale del settore. Il motivo sta “nella mancata consultazione durante la fase preparatoria del provvedimento”, come denunciano i vertici di Confartigianato Alimentazione. Valutazioni errate e tariffe falsate, esagerate, che rischiano di fare piazza pulita di tutta la galassia di micro imprese che operano nel comparto. E’ ancora Deon a parlare: “Alle imprese concentrate in questa prima fascia, che sono la stragrande maggioranza dei soggetti obbligati e che impiegano nel complesso il maggior numero di addetti, viene chiesto di corrispondere entro il 31 gennaio di ogni anno una tariffa di almeno 400 euro quale copertura delle spese relative ai controlli”. Il problema, però, è che il compenso per i servizi prestati dalle autorità competenti agli imprenditori del settore, va versato a prescindere “dalla effettiva possibilità di procedere al controllo sulla totalità delle imprese, visto il considerevole numero delle stesse”. Tradotto, vuol dire che un’azienda paga un servizio a prescindere dal fatto che lo riceva o meno. “Tali importi, quindi – conclude Deon – sono riscossi come fossero assimilabili ad una vera e propria tassa”. A queste problematiche si aggiungono le diverse posizioni espresse dalle Regioni, e le difficoltà operative delle Asl e delle Regioni stesse, ancora in attesa della circolare del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali che ne specifichi le modalità di riscossione. Ed è proprio al titolare del dicastero di Via Veneto, Maurizio Sacconi, che è indirizzata la lettera con cui i vertici di Confartigianato Alimentazione chiedono al Ministro di evitare l’ennesima tassa pagata esclusivamente dalla micro e piccola impresa italiana, a favore di una reale “equità contributiva” che non soffochi le imprese e che garantisca controlli e sicurezza sui prodotti che arrivano sul mercato italiano.

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