18 Luglio 2008, h. 00:00

Contrattazione, Fumagalli fa il punto sulla trattativa

Il 14 febbraio 2006 Confartigianato, le altre sigle dell’artigianato e Cgil, Cisl e Uil sancivano ufficialmente l’avvio della riforma del modello contrattuale dell’artigianato. A due anni di distanza, i protagonisti di quegli accordi si stanno incontrando per verificare, e migliorare se necessario, i risultati di questo biennio di sperimentazione. Cesare Fumagalli, Segretario generale di Confartigianato, traccia un bilancio dello stato della riforma. SEGRETARIO, VERSO QUALE DIREZIONE È ORIENTATA LA VERIFICA DEGLI ACCORDI DEL 2006? “L’intenzione di Confartigianato, condivisa anche dalle altre sigle dell’artigianato, è quella di confermare la linea generale degli accordi del 2006, pur volendo intervenire su alcuni piccoli ma significativi aspetti. A cominciare dalla semplificazione del sistema contrattuale, attualmente articolato su 16 contratti. L’intenzione di Confartigianato è quella di arrivare ad un contratto unico nazionale per l’artigianato. Inoltre, puntiamo al rilancio della bilateralità e all’individuazione dell’indice inflazionistico da utilizzare per gli incrementi salariali. Infine, vogliamo a rafforzare ulteriormente il decentramento della contrattazione al livello territoriale”. COME OPERANO I DUE LIVELLI DI CONTRATTAZIONE, QUELLO NAZIONALE E QUELLO REGIONALE? “In primo luogo, è utile sottolineare come i due livelli di contrattazione abbiano durata quadriennale e pari cogenza. Il contratto collettivo regionale di lavoro può disciplinare tutte le materie, eccezion fatta per quelle espressamente riservate al livello nazionale, come i diritti sindacali, il salario nazionale e la disciplina generale dell’orario di lavoro. Alla contrattazione regionale, dunque, è affidato il compito di distribuire la produttività del lavoro sulla base di parametri concordati dalle parti a livello regionale, di coprire l’eventuale differenza tra l’inflazione presa a riferimento per il primo biennio e quella reale all’epoca dell’accordo”. INFLAZIONE E SALARI, DUNQUE, UN NODO ANCORA DA SCIOGLIERE. “Ad oggi, il salario nazionale viene adeguato periodicamente sulla base dell’inflazione programmata, se questa viene determinata nell’ambito della politica dei redditi. Diversamente, in assenza di una politica mirata, il salario è adeguato in base ad un tasso di inflazione concordato tra le parti nazionali, sulla base degli indicatori disponibili. La tutela del potere d’acquisto dei salari viene completata a livello regionale, dove si interviene per colmare l’eventuale divario tra l’inflazione di riferimento del salario nazionale e l’indice reale nella regione all’epoca degli accordi regionali con riferimento al primo biennio. Al termine dei quattro anni di valenza del contratto nazionale, al momento del rinnovo dunque, si procede all’eventuale riallineamento del secondo biennio”. SI RIUSCIRÀ A RISPETTARE LA SCADENZA PER LA VERIFICA DELL’IMPIANTO CONTRATTUALE, FISSATA ALLA FINE DEL PROSSIMO SETTEMBRE? “La trattativa procede in un clima positivo. Stiamo parlando, però, di una riforma complessa, molto complessa, che si confronta con idee e convinzioni diverse. Oltre a queste difficoltà, c’è la forte ripresa dell’inflazione, che a giugno l’Istat ha fissato al 3,8% annuo. Un aspetto fondamentale in una trattativa che, secondo le intenzioni dei sindacati, dovrà garantire una migliore tutela del potere d’acquisto dei salari. A tal proposito, Cgil, Cisl e Uil hanno proposto di utilizzare come tasso d’inflazione per l’adeguamento salariale l’indice armonizzato europeo dei prezzi al consumo”.

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