7 Marzo 2008, h. 00:00
Addizionale sull’energia elettrica, una tassa da 834 milioni di euro
Gli artigiani sono una risorsa per il paese. Una verità innegabile, tanto che qualcuno deve averla presa davvero alla lettera. Nel 2007, infatti, i piccoli imprenditori italiani hanno versato 834 milioni di euro nelle casse provinciali. Il motivo? L’addizionale provinciale sull’energia elettrica, un’imposta applicata “sui consumi fino a 200.000 kWh /mese: in pratica, quelli delle piccole imprese. I consumi sopra questo limite, quelli delle grandi aziende, sono invece esenti da questo tributo”, denuncia Giorgio Guerrini, Presidente di Confartigianato Imprese. Ecco, dunque, l’ennesima incursione dell’amministrazione pubblica nei portafogli degli artigiani italiani, costretti a piegarsi questa volta alla pretese fiscali delle Province. Enti locali autorizzati a stabilire quale delle tre aliquote applicare, tra la minima, l’intermedia e la massima. La scelta, ovviamente, è ricaduta su quella massima. Nel 2000, infatti, il 75,5% delle province applicava l’aliquota minima, mentre il 16,7% quella massima. Ma nel 2007 la situazione è stata completamente stravolta. Il 70,8% ha imposto il prelievo più alto, di 11,40 euro per mille kWh, e soltanto il 19,8% quello minimo, pari a 9,30 euro. Un’inversione di tendenza che ha fruttato il 34,9% in più rispetto al 2000, come evidenziato da un rapporto dell’Ufficio studi di Confartigianato. Inoltre, emerge ancora dal rapporto, grazie a questo vero e proprio boom, l’addizionale provinciale sull’energia elettrica ha conquistato il ben poco lusinghiero terzo posto nella classifica dei tributi provinciali più costosi, dopo l’RC auto e l’imposta di trascrizione. Entrando nel dettaglio, sono 51 le amministrazioni provinciali che hanno costretto al “grande salto” le imprese artigiane aumentando l’aliquota dal minimo, nel 2000, al massimo, nel 2007. A fronte di queste, sono state 26 in totale le province che non hanno alterato l’aliquota addizionale sull’energia elettrica. Cinque quelle che l’hanno mantenuta sul valore intermedio, Cuneo, Vercelli, Lecco, Verona e Grosseto, 21 quelle che l’hanno confermata al valore minimo. Tra queste, quelle settentrionali di Como, Varese e Padova, quelle di Roma, Firenze e Prato al Centro, e quelle di Bari e Reggio Calabria al Sud. Particolare, infine, la scelta di Nuoro, unica provincia isolana a mantenere l’aliquota minima. Una decisione particolare considerato che anche le neonate piccole province di Carbonia – Iglesias, Medio Campidano, Ogliastra e Olbia – Tempio, operative soltanto dal 2005, hanno imposto fin da subito il maggior tributo possibile.
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